POZZUOLI – Nonostante il carcere, non aveva mai smesso di comandare. Anzi, dalle mura di Poggioreale continuava a dettare la sua legge, impartendo ordini con freddezza militare, come un generale che non arretra di fronte alla prigionia. Ma per Gennaro Sannino, detto Gennarino, 51 anni, ras indiscusso di Monteruscello e vecchia conoscenza della camorra flegrea, le sbarre non sono bastate a spegnere il potere criminale. L’uomo, in carcere da due anni per una vicenda di un’estorsione a un cantiere nautico a Licola, è stato trasferito nel carcere Pagliarelli di Palermo, distante centinaia di chilometri dalla sua Pozzuoli. Un mese fa i carabinieri della compagnia di Pozzuoli hanno stretto il cerchio attorno a lui e al suo clan familiare, dando esecuzione a nove arresti disposti dal gip Rosamaria De Lellis su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Un colpo durissimo a un’organizzazione feroce, radicata nei quartieri popolari di Monterusciello e Toiano,
con ramificazioni fino a via Napoli. Estorsioni ai cantieri, droga, pestaggi e raid punitivi: questo il marchio di fabbrica del gruppo guidato
da Sannino, uomo cresciuto nell’ombra della storica alleanza Longobardi-Beneduce.
Nonostante fosse già detenuto per estorsione a un cantiere nautico di Licola, il boss continuava a muovere i fili, stando all’accusa. Dalla sua cella decideva spartizioni di territorio, punizioni esemplari e persino le protezioni da imporre a imprenditori e commercianti. Chi osava ribellarsi veniva colpito con violenza spietata. Gli investigatori hanno documentato pestaggi brutali, minacce reiterate e la capacità del clan di mantenere il controllo del territorio attraverso il terrore, alimentando una rete criminale che non conosceva interruzioni. Nell’inchiesta è emerso un quadro inquietante: il clan non era solo un’organizzazione criminale, ma un affare di famiglia. Tra gli arrestati figurano la moglie, Patrizia Tizzano, 49 anni, e il figlio Luigi Sannino, 24, già detenuto per il tentato omicidio di Raffaele Di Francia, detto Lello ’o pollo. Accanto a loro, figure storiche e nuove leve: Gabriele Goglia, 36 anni, detto “a ninna”; Luigi Pio Sannino, 26; Vincenzo Perillo, 48, alias Pippo Baudo, memoria criminale del gruppo; Leonardo Perillo, 23; Bruno Iannaccone, 22; e Mattia Esposito, 24.
Secondo gli inquirenti, dopo l’arresto di Giuseppe Cammino, era stato proprio Sannino a ricostruire le fila, riportando in auge un clan che sembrava indebolito. La sua leadership ha permesso di ricomporre un equilibrio criminale e rinsaldare alleanze, riportando Monterusciello sotto un regime di violenza e omertà. Il gruppo operava con una struttura piramidale solida: al vertice la famiglia Sannino, al di sotto gli affiliati incaricati di gestire le piazze di spaccio, le estorsioni, i controlli sui cantieri e le “mazzette” da imporre agli imprenditori. Una
macchina del crimine che, ancora una volta, si è dimostrata capace di resistere al tempo e ai colpi della giustizia.
Il trasferimento di Gennarino Sannino al carcere di massima sicurezza Pagliarelli di Palermo segna una nuova fase nella lotta dello Stato contro le famiglie camorristiche dell’area flegrea. Ma resta la consapevolezza che l’organizzazione aveva trovato nuova linfa proprio grazie alla sua capacità di comandare anche dietro le sbarre. Le indagini hanno svelato l’ennesima faccia di una camorra che continua a rigenerarsi, trascinando nel vortice intere famiglie, con donne e figli che diventano parte integrante della macchina criminale. E mentre Monterusciello e Toiano tirano un sospiro di sollievo per l’ennesimo colpo inferto ai clan, resta la domanda che da decenni accompagna le cronache nere campane: basterà l’arresto di un ras per spegnere davvero l’incendio della camorra o, ancora una volta, qualcuno raccoglierà il testimone del potere criminale?