Le mani della camorra sulla Juve Stabia. Gratteri: “Le cosche gestivano tutti i servizi”

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Polizia allo stadio "Romeo Menti"

CASTELLAMMARE DI STABIA – Le firme sul provvedimento sono illustri: Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Napoli; Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; Maurizio Agricola, questore di Napoli. Il contenuto del documento è inquietante: il clan D’Alessandro condizionava la Juve Stabia. Il Tribunale di Napoli, Sezione Misure di Prevenzione, ha pertanto emesso un decreto che dispone l’amministrazione giudiziaria per la società Juve Stabia srl, con l’obiettivo dichiarato di spezzare il legame tra l’attività sportiva e l’ombra della criminalità organizzata. L’intervento è volto a “ripristinare la legalità e la trasparenza gestionale, interrompendo il circuito di agevolazione mafiosa, di fatto instauratosi, e restituendo alla società condizioni di autonomia, correttezza e regolarità operativa”. L’indagine della Dda ha verificato una profonda infiltrazione mafiosa all’interno del club.

L’analisi investigativa e patrimoniale è stata solidamente supportata dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e, in modo significativo,
dai riscontri emersi dalle registrazioni di colloqui in carcere di detenuti sottoposti al regime del 41-bis, inclusi esponenti del clan Cesarano. Gli inquirenti hanno accertato come il condizionamento da parte del clan D’Alessandro fosse di “antica data” e di natura sistemica. L’attuale assetto societario e proprietario del club è risultato carente nell’adozione di adeguati meccanismi interni di controllo e prevenzione, permettendo al sistema criminale di radicarsi nella quotidianità economica della squadra. L’azione di condizionamento del clan non si è focalizzata solo su aspetti secondari, ma ha toccato settori strategici per lo svolgi- mento delle competizioni sportive. Le indagini hanno documentato che la gestione di numerosi servizi è stata affidata a imprese e soggetti con profili di contiguità al clan D’Alessandro.

Le aree di maggiore criticità riscontrate includono sicurezza e stewarding (la gestione degli accessi e dell’ordine pubblico), ticketing (la vendita e la distribuzione dei biglietti), logistica (i servizi di bouvetteria, pulizia e, fino al 2024, il trasporto della prima squadra), servizi sanitari. Tale affidamento ha configurato un “oggettivo sistema di condizionamento mafioso dell’attività economica della società” trasformando di fatto la squadra in un veicolo per l’accumulo illecito e il consolidamento del potere criminale sul territorio. L’assenza di rigorosi strumenti di verifica sui contraenti economici cui è affidato il servizio di sicurezza e stewarding ha avuto ripercussioni dirette sull’ordine pubblico durante gli eventi sportivi. Un episodio emblemati- co è emerso in occasione della partita Juve Stabia-Bari, tenutasi lo scorso 9 febbraio.

Il personale del commissariato di Castellammare di Stabia verificò la presenza, con ruolo attivo nel filtraggio e accanto al personale steward, di un esponente del tifo organizzato già destinatario di un provvedimento Daspo. Circostanza che ha palesato come la gestione della sicurezza fosse direttamente influenzata da soggetti con divieti di accesso allo stadio, ma contigui o interni al circuito mafioso. Analogamente grave è risultato il settore del ticketing. Le indagini hanno rilevato una “prassi diffusa e quantomeno potenzialmente idonea” a consentire, attraverso punti vendita compromessi e l’emissione di biglietti con dati anagrafici alterati, l’accesso allo stadio a persone pregiudicate e colpite da Daspo, molte delle quali contigue al clan D’Alessandro. “Io faccio cose qui allo stadio che tu non riesci
fare”, disse un pregiudicato dei Paglialoni (gruppo satellite dei D’Alessandro), sottoposto a Daspo, a un agente di polizia. L’infiltrazione del clan si è manifestata in modo evidente nella tifoseria organizzata locale. Il grado di contiguità è stato reso pubblico e imbarazzante lo scorso 29 maggio, durante l’evento organizzato dal Comune di Castellammare per celebrare la fine della stagione calcistica.

In quella circostanza, tre gruppi ultras della tifoseria, inclusi soggetti colpiti da Daspo e con profili di contiguità criminale, sono saliti sul palco proponendosi pubblicamente al fianco dei vertici della società di calcio, di autorità civili e di istituzioni pubbliche, legittimando di fatto la presenza del potere criminale in un contesto istituzionale. Il condizionamento non si è fermato all’aspetto economico-logistico. Gli inquirenti hanno evidenziato “significativi indici di condizionamento” anche nelle scelte operate dalla società in ordine ai responsabili del settore tecnico giovanile. Uno di questi dirigenti, Roberto Amodio, era già stato destinatario di provvedimenti da parte della giustizia sportiva, circostanza che attesta “radicate e consolidate relazioni con il clan” suggerendo un’influenza mafiosa persino nella formazione e nella carriera dei giovani calciatori. Non solo: dal provvedimento si apprende che “la anali- si dell’attuale organigramma evidenzia la presenza di soggetti vicini al clan: tra questi il direttore del settore giovanile, Amodio.

Di questi il citato collaboratore Pasquale Rapicano parla come di ‘un bandito’ che ‘ fa quello che dicono i D’Alessandro’ e che ‘sta nella società Juve Stabia perché imposto dai D’Alessandro’, parole chiare, provenienti da chi, radicato esponente di quel gruppo, appare altresì fine conoscitore delle dinamiche del sodalizio”. E poi, sempre dai documenti del Tribunale (giudici Teresa Araniello, Mariarosaria Orditura, Lucia- no di Transo) emerge la storia del boss del rione Moscarella detenuto al 41-bis che, durante un colloqui, al figlio che si lamenta per il fatto di relegato in panchina suggerisce di rivolgersi al team manager Pino Di Maio. Il boss “raccomanda al figlio di presentarsi al Di Maio e di dirgli di essere ‘il figlio di…’ ”

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