CASALNUOVO – Dopo gli arresti di inizio ottobre, ieri è stato inferto un altro colpo al clan Tammaro-Rea-Veneruso, attivo a Casalnuovo e nei territori limitrofi. Ordinanza per altri 6. I destinatari del provvedimento, notificato dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Castello di Cisterna, sono accusati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, detenzione e porto illegali di arma da fuoco e tentate estorsioni aggravate dal metodo mafioso e dalla finalità di favorire l’organizzazione. Un’indagine che, secondo i militari dell’Arma, ha permesso di ricostruire una fitta rete di relazioni criminali e di svelare come il clan continuasse a operare nonostante la detenzione dei vertici. Al centro dell’inchiesta c’è Francesco Rea, 61 anni, considerato il capo dell’organizzazione. Sebbene già detenuto, Rea avrebbe continuato a impartire direttive agli affiliati grazie alla disponibilità di telefoni cellulari in carcere.
Dall’istituto penitenziario, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il boss avrebbe stabilito obiettivi, deciso strategie e indicato le vittime delle estorsioni, mantenendo di fatto il controllo sull’intera attività del clan. Accanto a lui, la misura cautelare ha raggiunto Armando Tammaro e Luigi Tammaro, nipote e zio, ritenuti figure di spicco nella gestione operativa del gruppo. Avrebbero avuto il compito di dare esecuzione agli ordini del boss e di supervisionare la rete delle estorsioni, garantendo la continuità delle attività criminali sul territorio. Tra gli arrestati anche Ferdinando la Gatta, indicato come uomo di fiducia dei Tammaro, Michele benvenuto, che secondo le indagini avrebbe curato la riscossione del pizzo e partecipava ad azioni violente, e Gennaro D’ambrosio, considerato, sempre secondo le accuse, un altro gestore delle estorsioni.
L’attività investigativa ha documentato numerosi episodi di intimidazione ai danni di commercianti e imprenditori di Casalnuovo e dei Comuni
limitrofi, costretti a versare denaro al clan in cambio di una falsa “protezione”. In alcuni casi, chi si rifiutava di pagare subiva danneggiamenti o minacce esplicite. Le somme estorte rappresentavano una delle principali fonti di finanziamento dell’organizzazione, che si avvaleva della forza intimidatrice del nome dei Tammaro e dei Rea per mantenere il controllo sul territorio. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, il gruppo avrebbe conservato un modello verticistico, con Rea al vertice nonostante la detenzione, e una struttura capace di riorganizzarsi rapidamente per sopperire alle assenze causate dagli arresti. Le comunicazioni tra il carcere e gli affiliati avvenivano attraverso telefoni cellulari illecitamente introdotti e una rete di intermediari esterni.



















