MONDRAGONE – Si è chiusa la fase investigativa sull’assassinio di Luigi Magrino, il 41enne di Cellole ucciso lo scorso 28 aprile nell’area di servizio Eni lungo la Domiziana. Dopo mesi di accertamenti, rilievi e testimonianze, la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha dichiarato conclusa l’indagine, aprendo la strada alla richiesta di rinvio a giudizio. Secondo l’accusa, ad esplodere i colpi mortali sarebbe stato Giancarlo Pagliaro, 67 anni, imprenditore di Mondragone e titolare del mobilificio “Franchino”, oggi detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
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Stando alla ricostruzione del pubblico ministero Stefania Pontillo, Pagliaro, seduto sul sedile passeggero dell’auto di Magrino, avrebbe sparato tre colpi di pistola contro Magrino e, subito dopo, lo avrebbe colpito al volto e alla testa con la stessa arma. L’imprenditore è accusato anche della detenzione e dell’uso di una pistola semiautomatica modificata: in origine un’arma a salve, poi, dicono gli investigatori, trasformata in un’arma da sparo capace di esplodere proiettili calibro 6,35 Browning (l’arma non è mai stata trovata). Ora, con la chiusura del fascicolo, la Procura valuta la richiesta di processo per omicidio volontario. A difendere Pagliaro sono gli avvocati Antonio Miraglia e Alfonso Quarto.
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Il delitto, secondo quanto emerso, sarebbe maturato sullo sfondo di una presunta truffa a sfondo economico: Pagliaro avrebbe consegnato a Magrino circa 200mila euro convinto di poter ottenere, tramite lui, lo sblocco di una polizza assicurativa da mezzo milione, utile a coprire una pesante sanzione fiscale subita dalla sua azienda. Una promessa rivelatasi falsa, poi degenerata in minacce e pressioni.
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Dopo gli spari, l’imprenditore avrebbe pronunciato una frase che resta impressa nei verbali: “E’ successo quello che doveva succedere. Mi ha tolto la dignità di uomo e di padre”. Un gesto d’impeto, secondo il gip, ma consumato con una violenza tale da lasciare aperti ancora diversi interrogativi, a partire dal mistero dell’arma, mai ritrovata.
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