La figura secondo Angelo Guaglione: una mostra personale nel ciclo di Livio Marino Atellano al Palazzo Fazio di Capua

Corpi e colori si intrecciano in un dialogo silenzioso che racconta ciò che le parole non riescono a dire: ecco perché abbiamo bisogno dell'arte in un mondo che corre

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Angelo Guaglione
Angelo Guaglione

In un mondo che corre senza sosta, dove le giornate sembrano una lunga maratona di notifiche, acquisti compulsivi e produttività a tutti i costi, c’è ancora chi sceglie di fermarsi. Di respirare. Di guardare. Di sentire. E proprio in quel respiro lento e consapevole si nasconde l’essenza dell’arte, quella vera – quella che non si compra in serie, che non si scrolla via con un dito, che non si stampa su una t-shirt.

Lo storico Palazzo Fazio di Capua aprirà le sue porte per ricordarci tutto questo, ospitando la mostra personale dell’artista Angelo Guaglione, all’interno del ciclo “FIGURE” curato da Livio Marino Atellano e promosso dall’associazione CAPUANOVA. Il vernissage avrà inizio domenica 16 novembre alle ore 11:00, ma la mostra resterà visitabile fino al 30 novembre 2025. Il suo lavoro è stato riconosciuto in numerosi contesti artistici, tra cui l’Atlante dell’Arte Contemporanea 2026 (Giunti). Vincitore di diversi premi, tra cui il Premio Giotto 2025 (Art Events) e per due anni consecutivi del primo premio all’Estemporanea di pittura di Castel Campagnano (2014 e 2015), ha esposto in mostre personali e collettive in tutta Italia.

La sua arte è un dialogo acceso tra colore e figura umana: pennellate che pulsano di vita, volti che non si accontentano di essere guardati, ma vogliono essere capiti. Ogni opera è un frammento di emozione sospesa, una confessione. Guaglione ci invita invece a restare davanti a un quadro, a perdere tempo – sì, perdere tempo – per ritrovare noi stessi. Perché l’arte non serve a produrre, non serve a vendere: serve a ricordarci che siamo umani.

Un’occasione per chi ama l’arte, ma anche per chi ha solo bisogno di rallentare, di riconnettersi a qualcosa di vero. Non mancate. Non perché “si deve andare”, ma perché forse abbiamo davvero bisogno di tornare a guardare l’arte con gli occhi di chi sogna, non di chi scorre.

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