Femminicidio di Yuleisy, al via il processo a Siena: no al rito abbreviato per Baloy. La madre in piazza: “Giustizia per lei e per tutte”

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SIENA – Si sono aperte questa mattina, in un’atmosfera carica di tensione e dolore, le porte dell’aula della Corte d’Assise di Siena per la prima udienza del processo a carico di Luis Fernando Porras Baloy. Il 26enne di origine colombiana, presente in aula e attualmente agli arresti domiciliari, è chiamato a rispondere della più grave delle accuse: omicidio volontario pluriaggravato per la morte della sua compagna, Yuleisy Ana Manyoma Casanova, uccisa a soli 25 anni con un colpo di fucile alla testa.

La tragedia, che ha scosso profondamente la comunità senese, si consumò il 10 agosto 2024 in un’abitazione di via del Villino. Un dramma maturato, secondo l’accusa, al culmine di un rapporto segnato da abusi e prevaricazioni, come contestato dalle aggravanti del legame affettivo e dei maltrattamenti.

L’udienza odierna, di natura prettamente tecnica, è stata cruciale per definire il perimetro del dibattimento. Il collegio giudicante, presieduto dal giudice Fabio Frangini, ha immediatamente respinto la richiesta di giudizio con rito abbreviato, avanzata dai legali della difesa. Una decisione che preclude all’imputato la possibilità di beneficiare dello sconto di un terzo della pena in caso di condanna e che apre la strada a un processo ordinario, pubblico e approfondito, destinato a scandagliare ogni aspetto della vicenda.

Porras Baloy, seduto accanto ai suoi avvocati, ha assistito impassibile alle fasi iniziali del procedimento. La Corte ha poi proceduto all’ammissione delle prove, accogliendo le corpose liste dei testimoni presentate dalle parti: circa una cinquantina di persone in totale, tra accusa e difesa, che verranno chiamate a deporre per ricostruire non solo la dinamica del delitto, ma anche la natura del rapporto tra vittima e imputato. È stata invece esclusa, a sua tutela, la testimonianza della figlia minore della ragazza, una decisione volta a proteggerla da un’ulteriore, devastante traumatizzazione. I familiari di Yuleisy, rappresentati dai loro legali, si sono costituiti parti civili, determinati a ottenere giustizia per la perdita della loro cara.

Mentre dentro il palazzo di giustizia si compivano i primi atti formali, fuori, sul selciato, andava in scena un’altra forma di richiesta di giustizia. Un flash mob composto da familiari, amici e attivisti ha voluto ricordare Yuleisy e tenere alta l’attenzione sul dramma dei femminicidi. A guidare il presidio, straziata ma composta, la madre della vittima, Jasmin. Tra le sue mani e quelle di altre donne, uno striscione dal messaggio potente e universale: “Per Yulia, per tutte”. Le sue parole, rotte dalla commozione, sono state un pugno nello stomaco: “Chiedo giustizia per mia figlia e per tutte le donne che in questo momento stanno soffrendo in silenzio, che hanno paura di denunciare. Nessuna donna dovrebbe morire per mano di chi dice di amarla”.

Il processo è stato quindi rinviato. La prossima udienza è fissata per il 9 febbraio, data in cui inizierà la sfilata dei primi testimoni indicati dal Pubblico Ministero. L’agenda della Corte è già fitta, con ulteriori udienze programmate per il 23 febbraio, il 9 e il 23 marzo, a testimonianza della complessità di un dibattimento che si preannuncia lungo e doloroso. Una battaglia legale che, per la famiglia di Yuleisy e per chi le voleva bene, è appena iniziata. Una battaglia per la verità e per una giustizia che, come recitava quello striscione, non sia solo per “Yulia”, ma per tutte.

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