Serre devastate per imporre il pizzo in nome dei Casalesi, due arresti

Catalano e Pirozzi, di Trentola Ducenta, in cella con l’accusa di racket aggravato dal metodo mafioso: richieste fino a 1.400 euro l’anno, pressioni continue, visite intimidatorie e danneggiamenti alle colture per piegare gli imprenditori

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Giovanni Pirozzi
Giovanni Pirozzi

TRENTOLA DUCENTA – Un sistema di estorsioni seriali, fatto di minacce, visite intimidatorie, danneggiamenti mirati e richieste di denaro mascherate dal presunto servizio di ‘guardiania’, con sullo sfondo la mafia. È questo il quadro emerso dall’inchiesta, condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, che ieri ha portato all’esecuzione di due misure cautelari.

Gli arresti

Il giudice Nicola Marrone del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, ha ordinato l’arresto di Nicola Catalano, 45 anni, e Giovanni Pirozzi ‘o picciuotto, 49 anni, entrambi di Trentola Ducenta, ritenuti gravemente indiziati di una lunga serie di episodi estorsivi (tentati e consumati) e danneggiamenti aggravati dal metodo mafioso e dal riferimento al clan dei Casalesi.

L’indagine

L’attività investigativa, conclusa lo scorso gennaio, era partita a seguito delle denunce presentate da diversi imprenditori agricoli operanti tra Giugliano in Campania, Villa Literno, Parete, Trentola Ducenta e San Marcellino.

Secondo l’impianto accusatorio, Catalano e Pirozzi, assistiti dagli avvocati Vittorio Caterino e Pasquale Davide De Marco, avrebbero messo in atto un vero e proprio sistema di controllo del territorio rurale, fondato su pressioni costanti, minacce anche implicite e danneggiamenti alle colture, finalizzati a costringere gli imprenditori a versare somme di denaro comprese – a seconda dei casi – tra 300 e 1.400 euro l’anno, presentate come pagamento per un presunto servizio di ‘guardiania’.

Il ‘copione’

Il lavoro dei militari ha fatto emergere quello che appare come un copione ricorrente nelle presunte condotte criminali: i due si sarebbero recati più volte presso le aziende agricole o direttamente nelle abitazioni delle vittime, anche in loro assenza, presentandosi ai familiari per ‘far sapere’ di conoscere abitudini, orari e luoghi. Un modo – secondo la Dda – per rafforzare la pressione psicologica e far percepire il peso dell’appartenenza al contesto camorristico. Le minacce, spesso solo allusive, venivano accompagnate da frasi dal chiaro valore intimidatorio come “noi stiamo qua”, “ci devi fare Natale”, “questa è zona nostra”, oppure da richiami espliciti alla forza del clan dei Casalesi, evocato come garanzia di controllo del territorio. In alcuni casi, secondo l’ordinanza, gli indagati avrebbero fatto riferimento anche a rapporti familiari con soggetti storicamente inseriti nel sodalizio.

Le ritorsioni

Quando le richieste non venivano accolte, alle parole sarebbero seguiti i fatti. Gli investigatori contestano numerosi episodi di danneggiamento aggravato, commessi tra novembre e dicembre 2024, ai danni di almeno dieci imprenditori agricoli.
In più occasioni sarebbero stati tagliati i teli in plastica delle serre, danneggiati i tunnel di protezione, distrutte colture di fragole, ortaggi e peperoni, proprio durante il periodo di freddo intenso. In alcuni casi i danni avrebbero superato i 40 mila euro, compromettendo interi raccolti e causando perdite economiche rilevanti.

L’inchiesta descrive azioni ripetute: serre squarciate, coperture divelte, coltivazioni calpestate o esposte volontariamente al gelo. Condotte che, secondo la Procura di Napoli guidata da Nicola Gratteri, avevano una funzione chiaramente dimostrativa e punitiva, volte a convincere le vittime ad accettare il pagamento richiesto per evitare ulteriori ritorsioni.
I capi di imputazione ricostruiscono una lunga sequenza di condotte che avrebbero coinvolto diversi imprenditori agricoli delle zone di Santa Maria a Cubito, Scafarea di Chiaia, San Francesco, Villa Literno e aree limitrofe. In più episodi i due indagati avrebbero agito insieme, in altri separatamente, ma sempre – stando all’accusa – nell’ambito di un medesimo disegno criminoso.
Secondo l’ordinanza, la strategia era quella tipica dell’estorsione ambientale: non minacce esplicite, ma comportamenti, frasi allusive, presenze reiterate e danneggiamenti mirati, tali da indurre le vittime a convincersi che il pagamento fosse l’unico modo per continuare a lavorare senza subire ritorsioni.

Gli interrogatori

I destinatari della misura cautelare sono da considerarsi innocenti fino a eventuale sentenza definitiva di condanna. Le accuse dovranno ora essere vagliate nelle successive fasi del procedimento. Martedì prossimo Catalano e Pirozzi compariranno dinanzi al gip per l’interrogatorio di garanzia. In attesa di quell’appuntamento, possiamo dire che l’inchiesta restituisce tuttavia uno spaccato significativo sulle presunte pressioni subite da imprenditori agricoli in un’area dove, secondo la Procura, il metodo mafioso continuerebbe a manifestarsi anche attraverso forme apparentemente ‘tradizionali’ di estorsione, adattate al mondo delle campagne e delle serre. E il lavoro della Dda mette in luce come, in questa vicenda, un contributo decisivo sia arrivato proprio dagli imprenditori che hanno scelto di denunciare.

Il peso della camorra nelle estorsioni: ’o picciuotto accusato dagli ex affiliati

Se, quando minacciava gli imprenditori per costringerli a pagare, Giovanni Pirozzi evocava il clan dei Casalesi, è perché – secondo gli inquirenti – con quell’ambiente aveva realmente avuto a che fare. A sostenere questa ricostruzione sono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia richiamate nell’ordinanza, utilizzate dalla Direzione distrettuale antimafia per delinearne il profilo criminale.

Pirozzi viene indicato dagli inquirenti come soggetto stabilmente inserito nel contesto della criminalità organizzata dell’Agro aversano, ritenuto parte di quel sistema di relazioni che ruota attorno alla gestione delle estorsioni e al controllo del territorio. Un ruolo che, secondo l’accusa, non sarebbe episodico ma strutturale, fondato su legami consolidati e riconosciuti negli ambienti camorristici.

Tra i collaboratori di giustizia citati figura Salvatore Orabona, che colloca Pirozzi tra i soggetti gravitanti nel circuito camorristico operante tra Trentola Ducenta e i comuni limitrofi, descrivendolo come persona inserita nei meccanismi dell’organizzazione. Le sue dichiarazioni vengono richiamate per attestare la continuità dei rapporti e la riconducibilità di Pirozzi all’area di influenza del clan dei Casalesi. Un ulteriore contributo proviene da Giuseppe Pagliuca, il quale indica Pirozzi come soggetto impiegato nella riscossione delle somme estorsive e nella gestione delle attività legate al controllo del territorio. Secondo il collaboratore, Pirozzi veniva utilizzato per far valere l’autorità del clan nei confronti delle vittime, anche senza il ricorso a minacce esplicite, sfruttando la notorietà del proprio nome e le relazioni criminali maturate nel tempo.

La Direzione distrettuale antimafia richiama inoltre le dichiarazioni di Dario De Simone, anch’egli collaboratore di giustizia, che colloca Pirozzi all’interno di una rete di rapporti consolidati riconducibili alla storica area di influenza dei Casalesi. De Simone lo descrive come una presenza costante nei contesti criminali locali, in contatto con soggetti già noti per la loro appartenenza o vicinanza al sodalizio.
Stand a quanto emerge dall’inchiesta, i collaboratori convergono nel delineare Pirozzi come una figura riconosciuta e temuta, capace di esercitare una funzione intimidatoria anche senza ricorrere apertamente alla violenza. È proprio questo profilo – sottolinea il giudice – a spiegare l’efficacia delle condotte estorsive contestate: non erano necessarie minacce dirette, perché il semplice richiamo alla sua persona e al contesto criminale di riferimento era sufficiente a incutere timore.

Le dichiarazioni dei pentiti vengono lette dall’accusa in modo unitario insieme ad altri elementi oggettivi: controlli di polizia, frequentazioni documentate, precedenti giudiziari e rapporti con soggetti a loro volta inseriti nel circuito camorristico.

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