Birmania, l’attacco dell’Onu: Suu Kyi non ha evitato i crimini contro i Rohingya

La leader birmana Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace nel 1991, "non ha utilizzato la sua posizione de facto di capo del governo. Né la sua autorità morale, per contrastare o impedire il dipanarsi degli eventi nello Stato di Rakhine" contro i Rohingya

AFP PHOTO / YE AUNG THU

GINEVRA (Svizzera) (LaPresse/AFP) – Birmania, l’attacco dell’Onu: Suu Kyi non ha evitato crimini contro Rohingya. La leader birmana Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace nel 1991, “non ha utilizzato la sua posizione de facto di capo del governo. Né la sua autorità morale, per contrastare o impedire il dipanarsi degli eventi nello Stato di Rakhine” contro i Rohingya. È quanto afferma la Missione Onu. Per l’accertamento dei fatti sulla Birmania. In occasione della pubblicazione di un rapporto in cui ha chiesto alla giustizia internazionale di perseguire il capo dell’esercito della Birmania e altri cinque alti comandanti militari per “genocidio”. Ma anche per “crimini contro l’umanità” e “crimini di guerra” contro i musulmani Rohingya. “Con atti e omissioni le autorità civili hanno contribuito al fatto che venissero commessi crimini atroci”, scrivono gli investigatori Onu.

Birmania, l’attacco dell’Onu: Suu Kyi non ha evitato crimini contro Rohingya

La commissione di fact-finding, tuttavia, precisa che le autorità civili avevano “poco margine di manovra”. Per controllare le azioni dell’esercito birmano. E “niente indica che abbiamo partecipato direttamente alla pianificazione o all’attuazione di operazioni di sicurezza o che abbiano fatto parte della struttura di comando”. La Missione Onu per l’accertamento dei fatti sulla Birmania, creata dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite a marzo del 2017, non è stata autorizzata a recarsi in Birmania, e le sue conclusioni si basano sui colloqui avuti con 857 vittime e testimoni, oltre che sull’analisi di immagini satellitari. Per la Missione Onu, “ci sono informazioni sufficienti a giustificare il perseguimento degli alti responsabili della catena di comando” dell’esercito birmano.

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