ROMA – Luigi Di Maio senza freni fa tremare il governo. Questa volta il vicepremier non si affida ai social (come fu per l’accusa di impeachment al capo dello Stato, o per la manina al Mef che poi al Mef non era) ma al salotto di Bruno Vespa. L’accusa è pesante, tanto da provocare un fremito lungo la schiena dell’esecutivo. Il testo sulla pace fiscale inserito nella manovra “trasmessa al Quirinale non è quello su cui c’era l’accordo in Cdm”, perché “c’è sia uno scudo fiscale per i capitali all’estero sia la non punibilità per chi evade. È un fatto gravissimo, manina politica o no, domattina depositerò subito un esposto alla Procura della Repubblica”.
Il riferimento è all’articolo 9 contenuto nell’ultima bozza del decreto, e dedicato alla ‘dichiarazione integrativa speciale’ presentando la quale – con un tetto di centomila euro non complessivo ma per singola imposta o periodo di imposta – ci si garantisce la non punibilità per dichiarazione infedele, omesso versamento di ritenute o di Iva anche in caso di riciclaggio o di impiego di proventi illeciti. Qualcosa di troppo simile a uno scudo, insomma, per il leader pentastellato che a lungo aveva tentato di frenare le ambizioni leghiste sulla pace fiscale. E proprio su questo punto la trattativa si era fatta tesissima lo scorso weekend, fino alla faticosa soluzione raggiunta nell’ultimo vertice di lunedì poco prima del Consiglio dei ministri che ha approvato decreto e manovra.
Il vicepremier è un fiume in piena, si alza accanto al conduttore di Porta e Porta ed evidenzia la parte che secondo lui è stata, in modo ingiustificato, aggiunta, superando l’accordo all’interno del governo gialloverde: “Se questa parte non cambia noi non la votiamo in Parlamento”. Solo qualche minuto dai primi lanci di agenzia e dal Colle arriva la prima secca smentita: “Il testo del decreto legge in materia fiscale per la firma del Presidente della Repubblica non è ancora pervenuto al Quirinale”. Quindi inutile tirarlo in ballo. Il capo politico del Movimento 5 Stelle cerca di correggere il tiro: “Allora stasera torno a Palazzo Chigi e accertiamo tutto. Vorrà dire che non ci sarà neanche bisogno di riunire nuovamente il Cdm, perché basta stralciare quella parte di testo”.
La frittata però è fatta. L’accusa contro quella manina ‘tecnica o politica’ è stata lanciata. Ma chi è il destinatario? Giancarlo Giorgetti, inviso ai 5Stelle perché troppo vicino al Quirinale, o i tecnici del Mef su cui da tempo oramai i pentastellati stanno preparando una vera e propria rappresaglia? Il titolare del Mise non si sbottona, ma non chiarisce: “Tendo ad escludere responsabilità politiche, perché mi fido delle persone con cui siamo al governo”, ma “in questo governo stanno avvenendo tante cose strane, tanti giochini”. Il riferimento è al sottosegretario leghista? “Non mi permetterei mai”. Il dubbio però resta, anche se il pentastellato rassicura: “Confermo la fiducia in questo governo” e nei confronti della Lega “non ho alcuna ragione di dubitare”.
Fonti del Movimento 5Stelle rivelano che i sospetti si concentrano soprattutto sui tecnici del Mef e non sui leghisti o su un leghista in particolare. Una ‘pista’ che non basta a dissipare l’imbarazzo leghista. Matteo Salvini, dalla lontana Russia, non commenta e lascia parlare i vertici del partito: “Noi siamo gente seria e non sappiamo niente di decreti truccati, stiamo lavorando giorno e notte sulla riduzione delle tasse, sulla legge Fornero e sulla chiusura delle liti fra cittadini ed Equitalia”. Sicuramente non era a conoscenza della modifica, riferiscono fonti vicine al vicepremier, e delle intenzioni dell’omologo del governo rispetto alla ‘manipolazione’ del decreto. Il leader del Carroccio comunque si sente chiamato in causa e in merito a eventuali stralci, proposti da Di Maio, la posizione è ‘freddina’: “Servono approfondimenti”. E’ il caos, nella settimana forse più calda per l’esecutivo giallo-verde.
Il premier Giuseppe Conte, nel bel mezzo del consiglio Ue, blocca l’invio al Quirinale del decreto Fisco “dopo le criticità emerse” e assicura che “intende rivedere personalmente il testo articolo per articolo”. Insomma il dl resterà in stand by ancora per qualche giorno. La firma di Mattarella può attendere, ma neanche troppo.
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