Milano (LaPresse) – Niccolò Bettarini ha scelto di essere presente alla prima udienza del processo con rito abbreviato a carico dei quattro giovani che lo hanno aggredito la notte dell’1 luglio scorso davanti alla discoteca Old Fashion di Milano. Prima di entrare in aula, il 19enne figlio di Simona Ventura e dell’ex calciatore Stefano Bettarini ha incrociato lo sguardo degli imputati. Scortati dalla polizia penitenziaria al settimo piano del Palazzo di Giustizia. Pochi istanti, poi si è allontanato in attesa di partecipare all’udienza al fianco del suo legale, l’avvocato Alessandra Calabrò. Durante la quale si è costituito parte civile contro Davide Caddeo, Alessandro Ferzoco, Andi Arapi e Albano Jakej, tutti accusati di tentato omicidio, lesioni e porto abusivo d’armi.
Per loro il pm Elio Ramondini – che ha coordinato le indagini, ancora aperte nel tentativo di trovare gli altri membri del ‘branco’ che ha massacrato Niccolò – ha sollecitato una condanna a 10 anni per quella che ha definito una “brutale aggressione”. I quattro, per l’accusa, hanno preso di mira il 19enne per “futili motivi”. E lo hanno picchiato e ferito con 8 coltellate. I fendenti gli anche provocato una lesione ai tendini della mano destra, per la quale è stato operato d’urgenza all’ospedale Niguarda, ma poteva andare molto peggio.
A metterlo nero su bianco nell’ordinanza di custodia cautelare era stato il gip Stefania Pepe, che aveva spiegato come Davide Caddeo, accusato di avere sferrato materialmente sferrato le 8 coltellate, Alessandro Ferzoco, Andi Arapi e Albano Jakej si fossero “certamente prefigurati che quel pestaggio e quei fendenti in parti vitali con una lama da 20 centimetri avrebbero potuto produrre conseguenze mortali. Anche in considerazione della loro superiorità numerica e della violenza della loro azione”.
A salvarlo dal pestaggio un gruppo di amici, tra cui una ragazza
Il ragazzo subito dopo l’aggressione aveva raccontato di essere stato ferito nel tentativo di difendere un amico all’uscita della discoteca. A quel punto però era stato riconosciuto e preso di mira a sua volta. “Sei il figlio di Bettarini, ti ammazziamo”, gli avevano gridato. E poi erano stati calci, pugni, botte e ferite. A salvarlo era stato l’intervento di alcuni amici. Tra cui una ragazza, che si erano buttati nella mischia e lo avevano trascinato via.
Poco importa se, com’è emerso dalla cartella clinica depositata su richiesta delle difese, Bettarini Jr sia “risultato positivo ai test sull’uso di stupefacenti” perchè, ha spiegato il pm, “questo non è reato ed è irrilevante”.
“I medici dell’Areu, soccorso sanitario 118, hanno somministrato morfina e Fentanest, sostanze oppioidi per il controllo del dolore”, ha spiegato l’avvocato Alessandra Calabrò, difensore del ragazzo. “A questo – ha aggiunto – è dovuto la positività della ricerca degli oppioidi nelle urine che è stata effettuata in ospedale. Farmaci e non droghe. La ricerca della cocaina è risultata negativa”.
Le difese, che prenderanno la parola nella prossima udienza, potrebbero puntare proprio sui dati della cartella clinica. Per far cadere l’aggravante dei futili motivi a carico degli imputati. Provando a sostenere che sia stato Niccolò, non perfettamente lucido, a menare le mani per primo. Si tornerà in aula il 29 novembre.