A Mezzero aiuti da Diana per mettere le mani sull’affare autolavaggio. La rabbia della Palazzo per i ‘fallimenti del nipote

L’incontro con ‘Eliuccio’ a S. Maria C.V. per discutere del business di Curti

CASAL DI PRINCIPE – Anni trascorsi in carcere restando fedeli al voto di omertà: è ciò che lega Antonio Mezzero, mafioso di Brezza, Elio Diana, cognato di Francesco Schiavone Cicciariello, e Pasquale Apicella ‘o Bellomm. Tutti esponenti del clan dei Casalesi con alle spalle i migliori anni della loro vita passati dietro le sbarre. E, accomunati dalla scelta di aderire a un sistema di violenza che ha danneggiato e continua a fare torti al territorio in cui vivono, sono pronti ad aiutarsi vicendevolmente. A far emergere questa perdurante mutua assistenza tra mafiosi è stata la recente indagine della Dda di Napoli, che ha acceso i riflettori sul gruppo Mezzero, facendo scattare 14 misure cautelari.

Il boss di Brezza era tornato a essere un uomo libero nel luglio 2022, dopo aver passato in cella, ininterrottamente, quasi 24 anni. Affrontate le prime settimane da ex galeotto a Grazzanise, la zona che per anni aveva controllato criminalmente per volere degli Schiavone, decise di trasferirsi a S. Maria Capua Vetere ed è proprio dalla città del Foro che, dice l’accusa, attraverso i suoi nipoti, Michele, che vive a Grazzanise, e Alessandro, residente a San Prisco, ha mosso le fila del suo gruppo rituffandosi in attività illecite. Tra questi business è emerso, agli inizi del 2023, il tentativo di mettere le mani su un autolavaggio. La struttura, situata a Curti, appartiene a un imprenditore, già proprietario di un caseificio, che in quel periodo era intenzionato a darla in gestione. Antonio Mezzero informato della possibilità, ha ricostruito l’accusa, dà mandato al nipote Alessandro (figlio del fratello Giacomo – non indagato) di attivarsi per riuscire a firmare il contratto. A uno dei primi contatti con il patron dell’autolavaggio con Alessandro Mezzero, dicono gli investigatori, ci sarebbe stato anche Vincenzo Addario. Avviata la trattativa, la moglie del boss inizia a informarsi presso un commercialista per sapere se con una partita Iva, che già aveva aperto, poteva procedere a concretizzare l’affare e se fosse necessaria o meno l’antimafia. Passano alcuni giorni dal primo approccio ma l’imprenditore non si fa più sentire. A questo punto il capocosca, impaziente, comincia a fare pressione sul nipote e la moglie, Carla Palazzo (nella foto – non indagata) arrabbiata, si lascia andare anche a dure critiche nei suoi confronti, al punto che Alessandro va a lamentarsene dallo zio Giuseppe: “Ci sta la moglie di tuo fratello che non sta bene con la testa. Io non sono un ragazzo da essere trattato così. Tu cominci a gridare, a sbraitare. Ma non stai parlando con il fratello, bella ‘a sora”. E lo zio lo stoppa: “Prima facciamo, è meglio per tutti quanti. Soprattutto per lui (Antonio Mezzero) perché così non vuole stare, capisci?”.

Alessandro Mezzero torna all’attacco dell’imprenditore, ma senza ottenere risultati. Il boss perde la pazienza e viene intercettato mentre si sfoga con l’altro nipote, Michele: “Più tardi chiamo uno al piccolo (Alessandro, ndr) e gli dico il fatto del lavaggio, gli dico: tu mi hai rotto il c…. Togliti di mezzo e me lo mando a chiamare io a questo”.

Arriviamo a marzo dell’anno scorso e la struttura viene data in affitto a soggetti di Marcianise. I Mezzero sono stati messi da parte. Il boss di Brezza reagisce a tale vicenda, sostiene la Dda di Napoli, chiedendo aiuto a Elio Diana, dato che il presunto coinvolgimento nell’operazione, stando alla ricostruzione dell’accusa, di Pasquale Apicella ‘o Bellomm, non aveva sortito effetti.

Antonio Mezzero ordina al nipote Michele di chiamare il cognato di Cicciariello attraverso il figlio, Gaetano. “Michele, per rintracciare il figlio di Eliuccio, come deve fare… gli devi dire che lo zio ti deve dire una cosa urgente. Lo voglio far spicciare dal padre, secondo me è la meglio cosa”. L’incontro tra i due boss, ritengono i carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, si tiene il 27 marzo 2023. E il tema del confronto è, ritengono gli investigatori, proprio l’autolavaggio, dato che durante il confronto, il boss decide di chiamare Alessandro Mezzero per farsi dire il nome del caseificio dell’imprenditore che non voleva cedergli la struttura di Curti. E in quel frangente i carabinieri ascoltano la figlia, Vitina Mezzero (non indagata), che si proponeva di contattare lei Alessandro. Arriviamo al 31 marzo e Alessandro racconta a Michele che il titolare dell’autolavaggio lo aveva chiamato dicendogli che un soggetto era andato là a minacciarlo. Secondo la Dda, la persona che si sarebbe fatta portavoce della volontà del clan sarebbe Giuseppe Diana, 78enne di S. Cipriano d’Aversa, detto Peppe a’ Oraziocciola, nome che era emerso proprio durante le conversazioni tra Elio Diana, Antonio e Michele Mezzero. Il sanciprianese cosa avrebbe detto alla vittima? “Vedi che questi ti possono fare una mala azione”, prospettando tragiche conseguenze se avesse confermato la sua volontà di affittare la struttura ad altri e non ai Mezzero.

L’inchiesta in cui emerge questo spaccato, condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo d Caserta con il supporto dei militari dell’Arma di Grazzanise, lunedì mattina ha portato in carcere i fratelli Antonio e Giuseppe Mezzero, i loro nipoti, Michele e Alessandro, Carlo Bianco di Casal di Principe, Davide Grasso di S. Maria La Fossa, Pasquale Natale di Vitulazio e Giovanni Diana, originario di Casale ma che ha messo radici nella zona di Francolise, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsioni (consumate e tentate), armi e incendio. Sono ai domiciliari, invece, Vincenzo Addario, imprenditore di S. Maria Capua Vetere, Giuseppe Diana, Pietro Zippo e Pietro Di Marta, di Vitulazio, e Andri Spahiu, che rispondono a vario titolo di estorsioni e incendio. I 14 destinatari di misura cautelare, disposte dal giudice Nicoletta Campanaro, sono da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Pur se menzionati negli atti di inchiesta, non sono indagati Elio Diana, il figlio Getno e Pasquale Apicella.

Nel collegio difensivo, gli avvocati Paolo Caterino, Pasquale Diana, Raffaele Russo, Paolo Di Furia, Carlo De Stavola, Camillo Irace, Alberto Martucci e Paolo Raimondo.

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