MILANO – Prima donna vice presidente del Parlamento di Kabul, una delle quattro negoziatrici ai colloqui di Doha con i talebani, candidata alla presidenza, nominata al premio Nobel per la pace. Incarichi, ruoli e conquiste scivolati in un passato (apparentemente) lontano per Fawzia Koofi, ora in esilio dopo la fuga dall’Afghanistan per salvare la vita propria e delle due figlie, a seguito della presa del potere dei talebani a metà agosto. Ha parlato ad Associated Press in un’intervista a New York, dove si è recata come componente di una delegazione di donne afghane in visita alle Nazioni unite per chiedere agli Stati di non fare compromessi sull’inclusione e i diritti umani nel suo Paese.
Gli aiuti, ha detto, “non dovrebbero essere politicizzati” e “le donne dovrebbero essere coinvolte in ogni loro fase ed essere ascoltate. Non dovrebbero essere mere destinatarie”. Ha raccontato di come l’impegno dei talebani nei negoziati fosse cambiato, dopo la firma dell’accordo con gli Usa nel febbraio 2020. “Erano diventati più estremi, prendevano tempo preferendo la strategia militare”, ha detto, in un colpo fatale a un’intesa politica che molti speravano avrebbe cementato i progressi raggiunti per la vita delle donne, come i diritti di accesso al lavoro e allo studio, e sul sistema legale.
Ha anche puntato il dito contro “i leader mondiali”, in particolare gli Usa: “Come superpotenza, hanno un’enorme responsabilità e devono risponderne”. Anche perché, secondo Koofi, il collasso dei colloqui di pace e la presa del potere degli estremisti islamici era evitabile. Lo ha detto piangendo, raccontando delle ex colleghe politiche, delle giudici, giornaliste e altre donne che ogni giorno continuano a scriverle, arrabbiate e spaventate, per chiederle aiuto e accusarla di averle abbandonate. “Mi dicono che dovrei essere là con loro”, ha commentato, “e hanno ragione”.
Dalla fuga dal suo Paese ad agosto, la politica vive in alberghi in Europa con le figlie di 22 e 23 anni, cercando di fare progressi sui permessi di residenza permanente. Non rivela dove la famiglia si trovi, per motivi di sicurezza. Sono circa 100mila le afghane e gli afghani fuggiti dal Paese dalla presa del potere dei talebani; i 38 milioni di persone rimaste affrontano violenza, diritti negati e “povertà universale”, secondo l’Onu. “Questo non è l’Afghanistan per cui ho lottato”, ha raccontato Koofi ad AP, “speravo in un Paese in cui le donne non dovessero soffrire quanto ho sofferto io da ragazzina, con i talebani. Volevo che le bambine godessero almeno della libertà di scegliere la scuola da frequentare. Ora, invece, possono scegliere solo in quale stanza trascorrere la giornata. È devastante”.
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