TORINO (Giuseppe Tallino) – Gli operai sono morti. A causa dell’amianto. Perché in alcuni stabilimenti della Olivetti, per anni, hanno lavorato a contatto con l’asbesto. Deceduti tra il 2008 e il 2013 per mesotelioma pleurica. Ma per la Corte d’Appello non ci sono colpevoli. Tutti assolti “perché il fatto non sussiste”. Anche i fratelli Carlo, patron del gruppo L’Espresso, e Franco De Benedetti. I dirigenti ‘di vertice’ che hanno guidato l’azienda tra il Settanta e il Novanta per la Procura generale di Torino sapevano che esporre i lavoratori a quella sostanza era nocivo per la loro salute. Ma nulla avrebbero fatto per impedirlo. Per gli inquirenti erano a conoscenza “del pericolo connesso all’utilizzo dell’amianto e al rischio mesotelioma”. A dimostrarlo, hanno dichiarato i pg nella requisitoria, “la trattativa per l’acquisizione di Eternit, come emerge da un carteggio del 1984 tra Franco De Benedetti e Stephan Schmidheiny, che saltò proprio per la pericolosità dell’amianto”. Tesi condivisa dal tribunale di Ivrea che nel luglio del 2016 ha emesso 13 condanne: 5 anni e 2 mesi di reclusione a testa ai germani Carlo e Franco De Benedetti, un anno e 11 mesi a Corrado Passera. Le accuse contestate agli imputati ‘eccellenti’ erano pesanti: omicidio colposo e lesioni colpose. Verdetto completamente ribaltato dai giudici di secondo grado. Nessun colpevole. Restano le vittime, la sofferenza della malattia e le lacrime dei familiari. E un iter giudiziario lungo quattro anni: iniziato con la chiusura delle indagini nel novembre 2014 e concluso (parzialmente) con la decisione presa ieri dalla Corte d’Appello. Parzialmente perché resta il terzo grado di giudizio. Le motivazioni della sentenza saranno rese note entro sessanta giorni. “A volte la magistratura rispetto alla criminalità di impresa ha un atteggiamento che risale alla cultura degli inizi del secolo scorso”. Commenta a caldo, con delusione, Bruno Pesce, sindacalista in pensione e membro dell’Afeva (Associazione familiari vittime amianto). “Quando sono provocate delle morti da determinate condotte di aziende c’è un’altra considerazione del reato. Altri giudici – ha aggiunto Pesce – hanno già documentato che i lavoratori erano sottoposti al rischio. E nessuno è intervenuto tempestivamente. Manca ancora la Cassazione”. Rabbia, ma anche un briciolo di speranza. “Quando c’è una causa giusta serve andare fino in fondo. Perseguirla. Se non lo facciamo, vince il male. Noi – ha concluso l’ex sindacalista – non siamo forcaioli. Non siamo quelli che dicono: ‘Buttate via la chiave’.Vogliamo che ci siano tutte le garanzie. Ma che ci siano per tutti, indistintamente. Quando valgono soltanto per gli imputati e non per le vittime lo Stato deve cominciare a porsi degli interrogativi. Siamo stati beffati”.