NAPOLI – L’adolescenza che cambia, trasformandosi da età di passaggio a periodo di stasi capricciosa è al centro dell’ultimo lavoro di uno degli psicanalisti più importanti del nostro secolo. Massimo Ammaniti è uno dei più noti psicanalisti italiani dell’età evolutiva. Padre del famoso scrittore Niccolò, è nato a Roma nel 1941.
Laureato in psicologia all’Università La Sapienza, presso lo stesso Ateneo insegna Psicopatologia generale e dell’età evolutiva. Oltre che docente e psicoanalista, è autore di oltre duecento pubblicazioni scientifiche, tra cui venti libri tradotti anche in Francia e negli Stati Uniti, tra cui ‘Nascita del sé’ (Laterza 1994), ‘Nel nome del figlio’, scritto insieme a Niccolò (Mondadori, 1995), ‘Crescere con i figli. Le nuove regole dell’educazione’ (Mondadori 1997); ‘Pensare per due. Nella mente delle madri’ (Laterza 2008). La sua attività di studio e di ricerca si è concentrata nell’indagine del rapporto genitori-figli nell’età dell’infanzia. Molto ha scritto anche sui problemi legati all’adolescenza, alle difficoltà del “fare il mestiere” di genitore di figli adolescenti e dei ruoli all’interno della famiglia in una società sottoposta a cambiamenti profondi. Il modello di adolescenza elaborato dalla psicologia e dalla psicoanalisi a partire dal primo Novecento sembra oggi inadeguato.
Proprio nel suo ultimo libro ‘Adolescenti senza tempo’, di Cortina Raffaello Editore, Ammaniti, spiega come la fisionomia dell’adolescente oggi appare mutata in maniera sostanziale. Grazie alla profonde trasformazioni sociali e culturali la fase adolescenziale ha subito una vera e propria rivoluzione copernicana, tanto da portare a chiedersi se l’adolescenza dei trattati di psicologia esista ancora o non si debba invece ridefinire questa età attraverso i molteplici comportamenti che esprime.
Con il supporto di esempi concreti ed evocative citazioni tratte dal mondo dell’arte, Massimo Ammaniti descrive i diversi percorsi di ragazze e ragazzi per i quali il tempo della crescita si congela. “Questo periodo oggi può addirittura prolungarsi all’infinito – scrive – tanto da far pensare che l’adolescenza diventi una sfida al tempo che passa”.
Professore, dal titolo del suo ultimo saggio ‘Adolescenti senza tempo’ si evince che la fase adolescenziale sia mutata. Come mai?
Mentre prima l’adolescenza era una vera e propria fase di passaggio, da bambino ad adulto, un periodo della crescita in cui si raggiungeva un’età più matura con scelte che mettevano a diretto contatto con la realtà, oggi è diventata una condizione stabile, permanente. Gli adulti si possono tranquillamente definire ‘adultescenti’ in quanto preservano le caratteristiche dell’adolescenza pur essendo grandi. Ciò significa che rimane in loro un orientamento marcatamente narcisistico, suscettibile verso gli altri, un’identità non ben definita con tendenze contrastanti, e palesi difficoltà ad assumersi le responsabilità che quella fase della vita richiederebbe. Ecco spiegato il motivo per cui nel nostro Paese siano sensibilmente calate le nascite: i giovani preferiscono restare a casa con i genitori e non crearsi una famiglia tutta loro, con le relative responsabilità.
Insomma sono totalmente cambiati gli scenari?
Certo, oggi il giovane ha sempre bisogno di conferme, che cerca soprattutto negli amici. E’ così che viene fuori una maggiore fragilità psichica in quanto il loro baricentro è inevitabilmente spostato verso gli altri. Una fragilità che, come tutti sappiamo, dà origine al bullismo nelle scuole e nel gruppo dei pari. E grazie ai network, mal utilizzati e dove vene messo in rete ogni qualsivoglia forma di devianza, si raggiunge un totale livello di degenerazione. Insomma si è perso il senso della realtà dove i valori morali sono venuti meno: pur di apparire agli occhi degli altri l’adolescente rinuncia ad una propria identità personale.
In tutto questo degenerare qual è oggi il ruolo della famiglia?
La famiglia nel corso dell’ultimo secolo ha subito un sostanziale mutamento. Non è più come in passato in cui esistevano evidenti differenze generazionali in cui la coppia genitoriale era in perfetta sintonia con la società e la scuola. Oggi è molto diverso: il figlio è inserito nel mondo dei genitori e ciò rende il tutto molto pericoloso. Interviene nei discorsi, si sente in dovere-diritto di partecipare alle decisioni. Ecco perché i genitori hanno perso la loro vera identità e ricercano nei figli sicurezze e conferme. Poi, troppo spesso verso i propri figli vestono i panni di amici e ciò comporta una perdita del ruolo.
Dunque ai genitori quale atteggiamento conviene assumere nell’educazione dei propri figli: quello autoritario o quello autorevole?
E’ necessario cambiare marcia, non confondere l’autorità con l’autorevolezza. Tra i due è certamente meglio optare per il secondo che permette un rapporto di reciprocità, cercando la mediazione. Mentre l’atteggiamento autoritario dei genitori finisce per imporre ai figli il proprio punto di vista, non disposto ad accogliere alcun tipo di soluzione alternativa. Non si tratta di ricreare vecchie barriere, ma di capire che la separazione serve a salvaguardare le differenze che caratterizzano ogni essere umano, quella tra genitori e figli, appunto.
E la scuola? Come vive questo importante cambiamento?
E’ sotto gli occhi di tutti: spesso accade che i genitori intervengano in quelle che sono le dinamiche tra insegnante e alunno in difesa del proprio figlio. Una complicità che finisce per non responsabilizzare in nessun modo il ragazzo evitandone la giusta crescita e maturazione.
Lei fa più volte riferimento all’empatia quale aspetto indispensabile nel rapporto genitori-figli.
Perché?
E’ l’aspetto reggente in questo tipo di relazione che aiuta a capire gli stati d’animo dei figli. La fase adolescenziale è un momento molto importante della crescita, in cui la prole, in momenti di particolare disagio psicologico può andare incontro a momenti di depressione e confusione. Per cui per i genitori è importante capire eventuali momenti di difficoltà. Caratterizzante è il rapporto madre-figlio: la madre grazie alla propria sensibilità, riesce a capire i segnali che le arrivano dal bambino, anche in una fase in cui il neonato non usa forme complesse di comunicazione. Ecco l’empatia.
Khalil Gibran definisce i genitori ‘archi dai quali i vostri figli come frecce sono scoccati’. Lei l’ha ripresa nel suo libro.