MELBOURNE – Più di 200 migranti che risiedono in un centro per immigrati a Melbourne, in Australia, hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le loro condizioni di vita. Lo riferiscono ad AFP alcuni migranti stessi e attivisti di ong.
La testimonianza di un migrante
I migranti hanno fatto una serie di richieste, che vanno da tavoli e sedie per avviare semplici procedure amministrative fino alla libertà di uscire dopo la mezzanotte senza sorveglianza, secondo quanto racconta un detenuto iracheno, Ali Youssouf. “Non ho mai visto un centro di detenzione come questo”, ha dichiarato il migrante 30enne, che si trova al Melbourne Immigration Transit Accommodation (MITA).
Domani è previsto un incontro con il governo
Il governo australiano e la Serco – società privata che fornisce personale alle strutture per i migranti – non hanno risposto alle richieste di commento. I migranti dovrebbero incontrare domani dei rappresentanti del governo per cercare di trovare una soluzione.
La protesta dei migranti e lo sciopero della fame
Gli scioperi della fame sono comuni nei centri per i rifugiati in territorio australiano. L’anno scorso a scioperare furono centinaia di persone in un centro di Sydney a causa delle regole sulle visite, ritenute troppo rigide. I migranti hanno anche fatto ricorso a brevi scioperi della fame per ottenere l’attenzione dei media e fare pressione sul governo conservatore australiano per chiudere questi centri.
La replica del governo australiano
Il governo australiano nega abusi ma si è impegnato a “ridurre gradualmente” il numero dei rifugiati ospitati nelle strutture. Da decenni i governi australiani attuano una politica di detenzione obbligatoria per gli stranieri irregolari, compresi quelli che rimangono dopo la scadenza del visto. Secondo i critici, questa politica costa al Paese 170mila dollari l’anno (pari a 148mila euro) per straniero, stando ai numeri dei ricercatori dell’Università del New South Wales. I sostenitori, invece, considerano questo sistema dissuasivo e necessario per il controllo delle frontiere.
(Lapresse/AFP)