Azienda confiscata agli Zagaria, nei guai l’ex custode giudiziario

E’ accusato di favoreggiamento reale e rifiuti d’atti d’ufficio. Ha curato la società fino al 2013. Rischia il processo con due fratelli e la mamma del capoclan Michele

CASAPESENNA – Aggredire i patrimoni. Privarli dei contanti, delle case, delle aziende. I mafiosi patiscono più questo che la galera. Perché quando la Dda tocca i loro portafogli automaticamente barcollano pure le loro cosche. Carmine e Antonio Zagaria, fratelli del capoclan Michele, lo sanno bene. E per proteggere l’azienda agricola intestata alla mamma, l’89enne Raffaella Fontana, tra il 2006 e il 2013 l’avrebbero sostanzialmente svuotata, girando macchinari, crediti e bestiame alle società immacolate di due prestanome: per la Dda di Napoli si tratta dei germani Antonio e Fernando Zagaria. Stesso cognome, stessa origine casapesennese, ma non imparentati con il padrino dei Casalesi. Il primo ha 45 anni e abita a Casagiove, il secondo ne ha 42 e vive a Caserta.

L’azienda della Fontana, situata nel Borgo Appio, frazione di Grazzanise, era stata colpita da provvedimenti di sequestro e confisca. Ma per continuare a sfruttare i suoi mezzi e il giro d’affari che aveva avviato, i fratelli del boss, ha ricostruito la Dda, grazie alla complicità dell’allora custode giudiziario, il 60enne napoletano Aristide Cassella, riuscirono a far confluire il tutto nelle ditte vergini degli altri due Zagaria. Un mero cambio formale che non avrebbe intaccato la sostanza dei fatti. Da quel bene, secondo la Procura, il clan non aveva mai tolto le mani.

I quattro Zagaria e Raffaella Fontana sono indagati dai pm Simona Belluccio e Ciro Capasso per trasferimento fraudolento di beni aggravato dall’aver agevolato i Casalesi. Ad assisterli i legali Andrea Imperato, Ferdinando Letizia e Giovanni Cantelli. A Cassella, invece, vengono contestati i reati di “rifiuto d’atti d’ufficio, sottrazione di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale e favoreggiamento reale”.

Il professionista del Vomero, difeso dall’avvocato Andrea Satta, afferma la Antimafia, avrebbe compiuto “atti ed omissioni volti a favorire la famiglia camorristica Zagaria”. Cassella, dicono i pm, era consapevole che prima Carmine e poi Antonio Zagaria si avvalevano di prestanome nella gestione della azienda, consentendo ed aiutandoli “a continuare ad approvvigionarsi del profitto” grazie al presunto trasferimento fraudolento di beni messo in atto.
All’Antonio Zagaria di Casagiove, la Dda contesta pure il reato di concorso esterno al clan. Facendo da prestanome ai fratelli del boss, prima di cedere il testimone a Fernando, “tramite operazioni contabili di comodo”, come sovrafatturazioni e sottofatturazioni, avrebbe fatto risultare, diversamente dalla realtà, maggiori i ricavi e minori i costi dell’azienda, “fungendo anche da intermediario per la creazione dei fondi in nero”, soldi che in parte andavano a gonfiare le sue tasche e in parte quelle della famiglia del capoclan.

Ai 6 finiti sotto inchiesta, i pm Belluccio e Capasso hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. I magistrati nei prossimi giorni lavoreranno alla richiesta di rinvio a giudizio. A condurre l’attività investigativa è stato il Gico di Napoli. Il lavoro delle fiamme gialle lo scorso maggio ha portato al sequestro preventivo dell’azienda agricola gestita da Antonio e Fernando Zagaria. I beni bloccati dai finanzieri, tra immobili, manufatti, attrezzature per la mungitura e 350 capi di bestiame, hanno u valore di circa 2 milioni di euro.

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