CASAL DI PRINCIPE – Non avranno i cellulari clandestini che circolano nei reparti dell’alta sicurezza (come quelli usati, secondo gli investigatori, da Gianluca Bidognetti ed Emanuele Libero Schiavone), ma alcuni dei boss reclusi al 41 bis, anche sprovvisti di telefonini, sarebbero ugualmente in grado di comunicare con l’esterno senza filtri. Preso atto di questo scenario, la collaborazione con la giustizia del capoclan Francesco Sandokan Schiavone, iniziata, ormai, da circa un mese, potrebbe apparire, almeno in potenza, ancor più dirompente per la mafia rispetto a quanto inizialmente si era immaginato. Per quale ragione? Perché andrebbe a rendere meno impattante sul patrimonio conoscitivo del mafioso i 26 anni che ha trascorso al carcere duro. Perché significa che il capoclan non solo è stato messo a conoscenza delle dinamiche mafiose mentre si trovava in cella, ma proprio dalla prigione avrebbe potuto continuare a far sentire la propria voce.
Logicamente sarebbe errato immaginare che si sia trattato di un flusso comunicativo costante. Se dovesse essere accertato, risulterà che era attivo, invece, un dialogo con il mondo libero avvenuto a intervalli e maledettamente ermetico, difficilissimo da intercettare, quindi, se non si era in possesso della chiave per leggere i codici che usava. Ed ora che il fondatore del clan dei Casalesi ha scelto di riconoscere lo Stato da lui combattuto, adesso che ha sventolato bandiera bianca (venendo meno al patto di omertà stretto con gli altri affiliati ancor prima di spodestare Antonio Di Bardellino dal trono criminale) ai magistrati dell’Antimafia potrà fornire, se il pentimento si rivelerà genuino, proprio quella chiave. Ed è una chiave preziosissima, capace di aprire un mondo finora poco esplorato, animato da tanti imprenditori insospettabili che hanno beneficiato, come ha raccontato Giuseppina Nappa, l’ex moglie del boss, in un suo interrogatorio reso qualche anno fa ai pm, del “lievito madre del clan” (ovvero i soldi e la forza intimidatoria messe a disposizione dalla mafia per creare carriere affaristiche e politiche). E chi avrebbe sfruttato quel ‘lievito madre’ negli ultimi anni, nonostante i numerosi arresti e le confische, ha continuato a far arrivare (probabilmente con meno frequenza e densità rispetto agli inizi del Duemila) soldi alla famiglia Schiavone.
Quando il boss non è stato accorto nel dare i suoi messaggi dal 41 bis ai familiari, quando si è lasciato andare, come nel caso (di cui più volte abbiamo scritto in questi giorni) delle ‘tute del Napoli’ che una delle sue figlie avrebbe dovuto chiedere a tale zio Nicola, sollecitazione che Sandokan fece nel corso di un colloquio, nel 2016, mentre si trovava nella prigione di Parma, le attentissime antenne dell’Antimafia hanno percepito il potenziale investigativo di quelle parole dando il via all’importante inchiesta sui presunti tentacoli distesi da Nicola Schiavone ‘o munaciello (ovvero lo ‘zio Nicola’, dice la Dda, evocato da Sandokan) negli appalti di Rete ferroviaria italiani, e dal fratello Vincenzo (quello che per il boss al 41 bis si stava comportando con loro “una schifezza”) nel business degli scavi per installare linee telefoniche ed elettriche.
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