CASAL DI PRINCIPE – Ridurre tutto a uno scontro tra ragazzi per la gestione di una piazza di spaccio sarebbe riduttivo e sbagliato. Non si arriva a sparare, con un mitra, al portone della casa dove vive il figlio del capoclan dei Casalesi (anche se ha intrapreso un percorso – complesso – di collaborazione con la giustizia) senza l’ok di chi ora occupa il vertice dell’organizzazione. Se Emanuele Libero Schiavone è finito nel mirino di un gruppo, perlopiù animato da giovani dell’Agro aversano e albanesi, che non si è fatto scrupoli a intraprendere azioni criminali plateali, è perché lo hanno permesso i mafiosi pensanti (quelli che ora circolano – più o meno liberamente – sul territorio e quelli in carcere, ma ancora capaci di far sentire all’esterno la loro voce). E nel dare il via libera era loro intenzione raggiungere un duplice obiettivo: impedire a Emanuele Libero, tornato a Casale il 15 aprile scorso – dopo aver trascorso 12 anni in cella – e riarrestato due settimane fa, di pretendere una fetta dei business criminali da loro gestiti (estorsioni e, soprattutto, droga), ma anche dare un segnale a Francesco Sandokan Schiavone, che da marzo sta parlando con i magistrati. Quale? Se lo fai, se continui, se tu, fondatore del clan dei Casalesi, vieni meno al patto di omertà, i tuoi figli che non hanno accettato il programma di protezione sono in pericolo. E non è da escludere che il capoclan possa aver ripensamenti sul percorso che aveva intrapreso proprio perché intimorito da questa possibilità.
Chi è in contrasto con Emanuele Libero Schiavone è una gang legata ai Bidognetti. L’operazione del 2022, coordinata dalla Dda di Napoli e condotta dai carabinieri, ha fatto scattare oltre 30 arresti e tra i suoi meriti c’è quello di aver allungato la detenzione in prigione di Gianluca Nanà, il figlio del capocosca ergastolano Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte. Questa inchiesta, che ha già determinato pesanti condanne in primo grado, sicuramente ha rappresentato un duro colpo per l’organizzazione criminale. Ma si è subito rimessa in piedi. Come? Anche grazie ai legami (alcuni storici, altri di recente formazione) che i Bidognetti hanno con l’Alleanza di Secondigliano e all’apporto che viene dato loro da alcuni soggetti vicini ai Mallardo, clan attivo nell’area di Napoli Nord. Questa intesa con la mala napoletana garantisce sicuri canali per l’approvvigionamento di droga e armi a chi ancora inneggia a Cicciotto ‘e mezzanotte e al figlio Gianluca (in rapporti tesissimi con Emanuele già nel 2021, prima della scelta di Sandokan di collaborare).
Emanuele Libero Schiavone sapeva a cosa stesse andando incontro. Lo aveva detto già alla madre, Giuseppina Nappa, nel corso di una videochiamata fatta quando ancora era nella prigione di Siracusa: sarebbero stati attaccati e per evitare di essere uccisi, lui e il fratello Ivanhoe avrebbero dovuto agire per primi. Cosa che, a quanto pare, sostiene la Dda, avrebbero provato a fare. Emanuele Libero avrebbe provato a organizzare un agguato, non riuscendo però a a portarlo a termine.
Seppur in una posizione di inferiorità, seppur appesantito dall’immagine del padre ‘pentito’, Sandokan jr, poco dopo essere tornato a Casale, ha tentato di rinfoltire il gruppo. E nel farlo avrebbe trovato sponda in figli di affiliati storici alla cosca di famiglia ma anche in un gruppo liternese.
La tensione nell’Agro aversano è ancora alta, anche se, rispetto a quella che si percepiva nelle scorse settimane, è stata alleggerita. Da cosa? Dall’arresto di Emanuele Libero: lui e il fidato Francesco Reccia, figlio dello storico affiliato Oreste, alias Recchie ‘e lepre, sono stati ammanettati dai carabinieri della Compagnia di Casal di Principe e portati in cella con l’accusa di essersi armati per ingaggiare la guerra contro la gang guidata dai Bidognetti. Insomma, alcuni dei presunti protagonisti della faida sono stati messi temporaneamente fuori gioco. Adesso i fari sono puntati sui loro avversari ancora liberi di circolare.
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