ROMA – Un paio di mocassini, appartenuti a un bambino indigeno che non fece più ritorno a casa dalle scuole residenziali. Papa Francesco lo ha restituito al termine del suo discorso tenuto a Maskwacis, una delle tappe del suo viaggio da lui stesso definito “un pellegrinaggio penitenziale” tra le popolazioni native nel Canada settentrionale. In quello, cioè, che dalla metà del XIX secolo sino alla fine degli anni ’90 è stato lo scenario delle politiche di assimilazione forzata nelle scuole, molte delle quali gestite dalla Chiesa cattolica, nei confronti di oltre 150mila bambini delle comunità aborigene costretti ad abbandonare la loro cultura in nome dell’integrazione.
Un viaggio impegnativo, sia fisicamente che spiritualmente. Spinto sulla sedia a rotelle, il Santo Padre è arrivato sul palco e, rivolgendosi ai nativi ha voluto ribadire “con vergogna e chiarezza” che si trovava lì per chiedere “umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene”. Lo ha fatto nella sua lingua madre. Senza filtri.
“Chiedo perdono per i modi in cui, purtroppo, molti cristiani hanno adottato la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni. Sono addolorato. Sono affranto”, ha ripetuto. “Chiedo perdono, in particolare, per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l’indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali”. Il Santo Padre ha voluto sottolineare che “sebbene la carità cristiana fosse presente e vi fossero non pochi casi esemplari di dedizione ai bambini, le conseguenze complessive delle politiche legate alle scuole residenziali sono state catastrofiche. Quello che la fede cristiana ci dice è che si è trattato di un errore devastante, incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo. Addolora sapere che quel terreno compatto di valori, lingua e cultura, che ha conferito alle vostre popolazioni un genuino senso di identità, fa male sapere che è stato eroso, e che voi continuiate a pagarne gli effetti. Di fronte a questo male che ci indigna, la Chiesa si inginocchia dinanzi a Dio e implora il perdono per i peccati dei suoi figli”.
Bergoglio – che al termine del discorso ha indossato per qualche istante il copricapo con le piume tipico degli indiani – si è detto consapevole che le scuse “sono soltanto il primo passo, il punto di partenza” ma che “guardando al futuro, non sarà mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio”. Una parte importante di questo processo è “condurre una seria ricerca della verità sul passato e aiutare i sopravvissuti delle scuole residenziali a intraprendere percorsi di guarigione dai traumi subiti”.
(Giusi Brega/LaPresse)