MILANO – Un detenuto di origini italiane è stato sequestrato e violentato dai suoi ‘compagni’ di cella nel carcere di Regina Coeli a Roma. Lo rende noto il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria.
L’uomo è stato bloccato dai due aguzzini, di origine slava, con un coltello e una corda rudimentali e, sotto minaccia, è stato abusato. Solo al terzo giorno, l’uomo è riuscito a chiedere aiuto alla guardia penitenziaria.
“Due detenuti di origine slava, con reati di rapina ed altro, hanno sequestrato e violentato un altro detenuto, di origine italiana, ristretto per reati di droga – spiega Maurizio Somma, segretario nazionale per il Lazio del Sappe – Grazie all’intuizione degli uomini del Corpo di polizia penitenziaria, l’uomo è stato salvato in quanto veniva minacciato con un coltello rudimentale e tenuto legato sempre con una corda rudimentale. È stato trasportato in ospedale, dove hanno riscontrato gravi danni all’ano. Un episodio vergognoso e raccapricciante certamente favorito dall’allentamento della sicurezza interna dovuto alla vigilanza dinamica”.
Donato Capece, segretario generale del Sappe, punta il dito contro il sistema della ‘vigilanza dinamica’: “Questi sono i frutti di una sorveglianza ridotta in conseguenza della cervellotica vigilanza dinamica, dell’autogestione delle carceri e dai numeri oggettivi delle carenze di organico del Reparto di Polizia Penitenziaria di Roma Regina Coeli – afferma – Quel che è successo è di inaudita gravità ed è la conseguenza dello scellerato smantellamento delle politiche di sicurezza delle carceri, che di fatto determinato una pericolosa autogestione dei penitenziari. Il sistema, per adulti e minori, si sta sgretolando ogni giorno di più”. Il Sappe denuncia da tempo che “la sicurezza interna delle carceri è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, l’aver tolto le sentinelle della Polizia Penitenziaria di sorveglianza dalle mura di cinta delle carceri, la mancanza in organico di poliziotti penitenziari, il mancato finanziamento per i servizi anti intrusione e anti scavalcamento”.
“La politica se n’è completamente fregata. E i vertici del Ministero della Giustizia e dell’Amministrazione Penitenziaria hanno smantellato le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali”, conclude.