MILANO – La prossima data cerchiata sul calendario, nella complessa vicenda di Carige, è quella di venerdì 17 maggio. Nel giorno in cui la Bce potrebbe dover prorogare la scadenza per una eventuale offerta privata che porti al salvataggio dell’istituto di credito, a Genova i piccoli azionisti si riuniranno in una assemblea pubblica aperta a tutti: soci più o meno rilevanti, istituzioni e sindacati.
A introdurre “ulteriori elementi di riflessione, incertezza e preoccupazione”, spiega il consiglio direttivo dell’associazione presieduta da Silvio De Fecondo attraverso la propria pagina Facebook, è “il susseguirsi di cifre sempre al rialzo per quanto riguarda l’aumento di capitale, il ridursi del numero dei soggetti interessati e infine la rinuncia di Blackrock”. Mentre l’obiettivo dichiarato è quello di condividere analisi e considerazioni in modo da “evitare che si attui un ennesimo esproprio ai danni di chi in questi anni ha già molto patito e contribuito alle sorti della banca”.
Non sono solo i piccoli azionisti a mostrarsi preoccupati per i possibili sviluppi della situazione
“Per Carige serve, perché previsto per legge, un piano industriale e non le semplici chiacchiere”, mette in chiaro Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, preoccupato prima di tutto di difendere l’occupazione. “Abbiamo gli strumenti per un concreto rilancio della banca, da riconsegnare al suo territorio”, assicura il leader sindacale, anticipando che “se qualcuno si azzarderà a parlare di licenziamenti, lo scontro sarà inevitabile”.
A margine di un incontro all’Università Bocconi, nelle stesse ore, ad auspicare per Carige “una governance chiara e un azionista di controllo che faccia gli interessi delle persone che lavorano in banca, dei clienti e della comunità” è l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, per cui la soluzione migliore, in quest’ottica, non è quella che passa da una assunzione di controllo da parte del Fondo interbancario per la tutela dei depositi.
“Il loro interesse – spiega – è che si trovi una soluzione industriale, ovvero una soluzione che faccia funzionare l’azienda senza dover trovare soluzioni tampone a problemi che possono essere risolti con un azionista chiaro industriale, o privato o pubblico”. Motivo per cui la stessa Intesa Sanpaolo non parteciperebbe a una eventuale nuova richiesta di intervento attraverso il Fitd. “Per quanto mi riguarda, in modo volontario, escludo totalmente i contributi”, è la sintesi di Messina.
Il ceo dell’istituto di piazza Gae Aulenti, Jean-Pierre Mustier, si era infatti mostrato aperto a un intervento di sistema “su base giusta e proporzionale”, se questo fosse necessario a sostenere il Paese. A far sentire la propria voce è intanto anche l’attuale socio di riferimento dell’istituto genovese, Malacalza Investimenti, che in una nota ribadisce la propria “posizione di orientamento favorevole” a una soluzione di mercato, che tuteli però il ruolo della banca sul territorio e tenga “nella dovuta considerazione” l’impegno degli azionisti che l’hanno sostenuta con ripetute iniezioni di capitale.
(AWE/LaPresse)