Casal di Principe, fari sugli imprenditori legati ai Bidognetti. Fusco trasferito in un carcere siciliano

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Gianluca Bidognetti Nanà ed Antonio Fusco Lupin

CASAL DI PRINCIPE – Gli estorsori, i gestori del traffico di droga, gli armieri e i capizona: sono loro ad essere finiti nel mirino delle recenti indagini della Dda di Napoli, che hanno mirato a indebolire il gruppo Bidognetti. Ora, però, il focus delle inchieste – anche grazie ai nuovi collaboratori di giustizia – si sta spostando anche sugli imprenditori, su quegli uomini d’affari che avrebbero contribuito alla crescita economica del clan.

Un’attività investigativa che ha già prodotto risultati concreti in questa direzione è quella condotta dai carabinieri di Aversa sfociata, lo scorso aprile, in un’ordinanza cautelare per 6 persone: tra i destinatari delle misure c’è Antonio Fusco, alias ‘Lupin’, imprenditore di Castel Volturno, con interessi nel settore immobiliare e nella rivendita di arredi e macchinari per la ristorazione. Fusco, è finito in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. Secondo la Dda, avrebbe messo le sue attività al servizio del clan Bidognetti, beneficiando, in cambio, della protezione malavitosa per lo sviluppo dei propri affari.

Di recente è stato trasferito in una prigione siciliana, su decisione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che ha riscontrato una incompatibilità del detenuto con la permanenza nel circuito carcerario campano. Naturalmente, Fusco è da considerare innocente fino a eventuale condanna definitiva. In attesa dell’avvio del processo che dovrà accertare le responsabilità a suo carico, le indagini, come detto, lo indicano come uno degli imprenditori vicini ai Casalesi. E il materiale emerso dall’analisi dei dispositivi informatici e dei telefoni sequestrati durante il blitz del suo arresto e di altre 4 persone, associati alle informazioni dei recenti pentiti, potrebbero ora permettere di individuare altri uomini d’affare connessi ai Bidognetti, assestando un altro importante colpo alla cosca.

Del resto, questa categoria è fondamentale per la criminalità organizzata: senza il contributo di chi fa impresa, i clan non riuscirebbero a penetrare nel tessuto economico legale e a sfruttare i proventi delle attività illecite, né a conservarli né a reinvestirli. Tra gli sviluppi investigativi legati all’arresto di Fusco, è già emersa anche una delle società che, secondo gli inquirenti, sarebbe stata utilizzata da esponenti del clan per eseguire lavori finanziati con capitali di provenienza illecita. A farne il nome è stato Vincenzo D’Angelo, detto ‘Biscottino’ – genero del boss Francesco Bidognetti, alias ‘Cicciotto ‘e mezzanotte’ -, e collaboratore di giustizia dal 2022. Si tratta della Rc Edilizia, impresa intestata a Raffaele Cirillo, figlio di Francesco Cirillo, fratello del più noto Bernardo (cugino di Cicciotto). Secondo quanto riferito da D’Angelo, tale società sarebbe stata utilizzata per la realizzazione di lavori sul Litorale, pagati con fondi del clan. Questo riferimento è stato riportato recentemente anche dal Tribunale del Riesame nel provvedimento che ha confermato la custodia cautelare per Fusco, ritenendolo un elemento utile a ricostruire i legami tra l’imprenditore e il tessuto economico orbitante attorno alla cosca.

Va precisato che né la Rc Edilizia né i Cirillo hanno subito conseguenze giudiziarie nell’ambito di questa indagine: non risultano – almeno per quanto a nostra conoscenza – indagati e devono considerarsi del tutto estranei ai fatti, almeno fino a eventuale sentenza definitiva. Il loro nome emerge, come detto, dalle dichiarazioni del collaboratore D’Angelo e anche da una conversazione intercettata tra Gianluca Bidognetti – allora detenuto in alta sicurezza nel carcere di Terni (ora al 41 bis) e ritenuto attuale reggente dell’omonimo clan – e lo stesso ‘Biscottino’.
Lo scorso aprile, con Fusco, 45enne, sono stati arrestati Nicola Gargiulo, 58enne di Lusciano, detto ‘Capitone’; Nicola Pezzella, noto come ‘Palummiello’, 62 anni di Casal di Principe, genero di Carmine Schiavone (storico esponente del clan, poi diventato collaboratore di giustizia – deceduto nel 2015); l’albanese Hermal Hasanai, di 41 anni, e Umberto Meli, 32enne di Castelvolturno, accusati a vario titolo di mafia, concorso esterno ed estorsione. Nel collegio difensivo gli avvocati Ferdinando Letizia, Michele Basile e Danilo Di Cecco.

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