Casal di Principe: Schiavone confessa, Zagaria chiede perdono. Rischio di marketing mafioso

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Vincenzo Schiavone, Michele Della Gatta e Michele Zagaria

CASAL DI PRINCIPE – Solitamente non parlano: restano in silenzio, fedeli a quell’omertà che imparano da giovanissimi, la stessa che, da adulti, li ha condannati a trascorrere il resto della loro vita in cella. E invece, ieri, Vincenzo Schiavone, detto ’o Petillo, e Michele Zagaria, Capastorta, hanno scelto di rompere il silenzio. E quando parlano, se ciò che dicono non è genuino, rappresenta (quasi sempre) un potenziale rischio o l’inizio di un cambiamento nella struttura mafiosa. Pericoli e mutazioni che non vanno sottovalutati, soprattutto quando a squarciare il velo del silenzio sono pezzi da novanta del clan, reclusi da decenni al 41 bis. Andiamo con ordine. I due sono a processo, insieme ad Antonio Iovine ‘o Ninno, oggi collaboratore di giustizia, con l’accusa di aver partecipato, con ruoli diversi, all’assassinio di Michele Della Gatta, guardaspalle dei figli del capoclan Francesco Sandokan Schiavone. Venne ucciso all’età di 23 anni.

In primo grado, Zagaria e ‘o Petillo hanno incassato 30 anni a testa, mentre Iovine 10 anni. Questi verdetti sono stati emessi – nel 2022 – dal Tribunale di Napoli accogliendo la tesi della Dda, secondo cui l’omicidio di Della Gatta sarebbe collegato alla morte di Carlo Amato.
Quest’ultimo fu ucciso con una coltellata in uno stanzino del ‘Disco Club’ a Santa Maria Capua Vetere, durante il Mac-Pi organizzato — era il 19 marzo 1999 — dagli studenti del liceo Amaldi. In quel locale c’era anche Walter Schiavone, figlio di Sandokan. Poco dopo la zuffa che portò alla morte di Amato, nella città del Foro arrivò pure Nicola Schiavone, primogenito del boss. Raggiunse il ‘Disco Club’, individuò il fratello e lo portò via. Chi uccise Carlo non ha ancora un volto, ma in 26 anni il vociare che tira in ballo proprio gli Schiavone in quella tragedia è stato una costante.

Pochi giorni dopo il delitto in discoteca iniziò a circolare l’ipotesi che Della Gatta, che aveva il compito di garantire la sicurezza dei figli di Sandokan, avesse avuto un ruolo nell’uccisione di Amato. E il 5 giugno dello stesso anno anche lui venne ammazzato. Il suo corpo fu trovato in una stradina a Baia Verde, località di Castelvolturno, a circa cento metri da un’auto dove i sicari abbandonarono una pistola calibro 7,65 e una tanica di benzina. Della Gatta, stando all’indagine coordinata dall’Antimafia, venne assassinato per proteggere i figli di Sandokan, per dare un volto al killer di Carlo, per compiere quella (falsa) giustizia mafiosa che non passa per i tribunali.
Iovine e Zagaria avrebbero dato l’ordine di morte e ‘o Petillo, invece, indossato i panni del killer.

Ieri, dinanzi alla Corte d’assise d’appello di Napoli, ha preso la parola Vincenzo Schiavone e ha raccontato la sua versione dei fatti. Ha ammesso di aver ucciso Della Gatta, ma ha sostenuto che Zagaria non avesse avuto alcun ruolo e che non ci sarebbe alcun intreccio con l’assassinio di Carlo Amato. Se venne ordinata la morte di Michele Della Gatta è perché — sintetizzando — il 23enne fece piangere i figli di Antonio Iovine. I ragazzini stavano tornando da scuola con il pulmino. Della Gatta era in sella alla sua moto quando ingaggiò una lite con l’autista, ha detto ‘o Petillo. Il giovane salì a bordo del bus e avrebbe estratto un’arma, colpendo alla testa l’autista: un gesto che mandò nel panico, facendo piangere i bambini presenti, tra cui i figli di Iovine.

Nella serata, ‘o Ninno avrebbe convocato Schiavone, dicendogli che Della Gatta andava eliminato. ‘O Petillo ha raccontato che, per organizzare l’agguato, chiese aiuto a Vincenzo Schiavone ‘Cupertone (scomparso nel 2004): avrebbero preparato una macchina, una Fiat Uno, una tanica di benzina e due pistole. ‘O Petillo ha detto che Della Gatta fu assassinato nei pressi di un lido balneare. Lo attrassero lì con l’inganno: gli spararono a bruciapelo alle spalle. Nel corso dell’udienza di ieri, è intervenuto anche il boss Zagaria: ha detto di non c’entrare con il delitto Della Gatta, ma ha ammesso di avere responsabilità in tutti i reati per i quali è stato condannato. Insomma, un’ammissione spot che serve a poco. Ha chiesto scusa alle vittime e allo Stato, e anche in questo caso sono parole che, se non porteranno a un pieno ravvedimento (magari a una collaborazione seria con la giustizia), sanno di operazione di marketing mafioso.

Tornando alle parole di ‘o Petillo, aprono inevitabilmente una riflessione sull’indagine. Se gli investigatori decideranno di approfondirle e dovessero dimostrarsi vere, allora andrebbero in parte a cozzare con quanto dichiarato da Antonio Iovine ‘o Ninno, collaboratore di giustizia dal 2014, difeso dall’avvocato Giuseppe Tessitore. Ad ogni modo, il fatto che uno dei killer più tragicamente prolifici del clan abbia scelto di parlare in videocollegamento con un’aula di giustizia e di ammettere le proprie responsabilità (anche se raccontando una storia diversa rispetto a quella tracciata dall’Antimafia) è indubbiamente un elemento da non sottovalutare. Resta da capire il perché di queste dichiarazioni, se – come detto – siano genuine (e magari rappresentano un ravvedimento sincero) o se possano celare sinistri messaggi da decifrare.

Tornando al processo, ascoltate le dichiarazioni spontanee di Schiavone e Zagaria, il sostituto procuratore generale ha tenuto la sua requisitoria, chiedendo la conferma per gli imputati della sentenza di primo grado. Si torna in aula a fine giugno per le discussioni dell’avvocato Emilio Martino, che assiste Zagaria, e, insieme al legale Leonardo Lombardo, Vincenzo Schiavone.

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