Casalesi: Pezzella, da gregario a capo di un’ala del clan Schiavone

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La Procura di Napoli
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La recente ordinanza di custodia cautelare in carcere per Nicola Pezzella, noto negli ambienti criminali come “Palummiello”, e per il fratello Massimo, riporta l’attenzione sulla tenacia con cui le vecchie guardie del clan dei Casalesi continuano a esercitare il proprio potere, anche da dietro le sbarre. Per Pezzella, figura storica che un tempo sposò la figlia dell’ex boss Carmine Schiavone, questo arresto si aggiunge a un curriculum criminale costruito in gran parte in cella, dove, dopo la prima cattura nel 2000, era riuscito ad ascendere da gregario a capo di una delle tre fazioni emergenti, sebbene non strettamente organiche, del gruppo Schiavone. E’ considerato da sempre fedelissimo del gruppo degli Schiavone. L’inchiesta che ha portato all’ordinanza di quattro giorni fa, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Perugia, svela un intricato intreccio tra il mondo della camorra e il traffico internazionale di stupefacenti gestito da una rete di trafficanti nigeriani. Il cuore della nuova indagine non riguarda direttamente l’attività di spaccio, ma la presunta condotta di induzione a non rendere dichiarazioni o a renderle mendaci all’autorità giudiziaria, aggravata dalla finalità mafiosa. Secondo la Dda, questa condotta è maturata nel contesto di una più vasta indagine sul narcotraffico. Tutto è partito nel 2023, quando i carabinieri di Perugia, indagando sulla compravendita di stupefacenti, hanno bloccato al confine con la Francia un corriere, identificato con le iniziali E.A., che trasportava trentacinque chili tra eroina e cocaina. L’arresto di questo uomo, ora cinquantatreenne, si è rivelato un punto di svolta: il corriere ha infatti iniziato a collaborare con la giustizia, fornendo elementi cruciali che hanno portato, nell’aprile dello scorso anno, a ventiquattro misure cautelari, tra cui quella per Pezzella. Nonostante Pezzella fosse già detenuto nel carcere di Voghera, le indagini successive dei carabinieri avrebbero accertato che, tra maggio dello scorso anno e giugno scorso, il boss avrebbe utilizzato la collaborazione del fratello Massimo per far recapitare al pentito ben otto lettere, manoscritte e dattiloscritte, dal contenuto inequivocabilmente intimidatorio. L’obiettivo delle missive, sostengono gli inquirenti, era chiaro: indurre il collaboratore a ritrattare o a fornire dichiarazioni false per favorire il coimputato nel procedimento relativo al traffico di stupefacenti destinati alle piazze di spaccio in Umbria. Se confermata in fase processuale, gli inquisiti sono da considerarsi innocenti fino a sentenza definitiva – la condotta di Nicola Pezzella evidenzia un fenomeno tristemente noto: per alcuni vertici delle organizzazioni mafiose, il carcere di media sicurezza non è un deterrente assoluto, ma può trasformarsi in un vero e proprio quartier generale. Appoggiandosi a familiari e fiancheggiatori esterni, questi boss riescono ancora a veicolare ordini e strategie, mantenendo in vita la struttura criminale. Il caso di Pezzella, sebbene meno eclatante di quello di Gianluca Bidognetti, detto “Nanà”, che per anni ha guidato la cosca dall’alta sicurezza grazie a comunicazioni illecite, conferma che la capacità di comando e controllo dall’esterno resta un nodo cruciale per il contrasto alle mafie. Provò a far ritrattare il suocero quando questi iniziò a collaborare.

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