MARCIANISE – Lo stava cercando da inizio mattinata. Per tre volte Salvatore Buttone, fratello di Claudio, collaboratore di giustizia, si era recato nella sua officina di zona Loriano, a pochi passi dal campo sportivo. Voleva confrontarsi con il titolare. E alla quarta visita, ieri, è riuscito a beccarlo. Ed è stata sfortuna per entrambi. Buttone è finito in cella e il meccanico in ospedale. Ad ammanettarlo, a conclusione di una complessa e tempestiva indagine, sono stati i carabinieri della stazione di Marcianise.
A spingere il fratello del pentito ad aggredire il meccanico, a quanto pare, una vicenda privata. La discussione tra i due in pochi minuti è diventata incandescente. E nel clima di tensione che si era venuto a creare, Buttone avrebbe preso una mazza da baseball e, stando a quanto ricostruito dai militari dell’Arma, iniziato a colpire il titolare dell’officina più volte con violenza per poi scappare
I carabinieri giunti sul posto hanno interrogato le persone che hanno assistito alla scena per poi mettersi sulle tracce di Buttone. Il marcianisano in fuga aveva abbandonato la mazza nei pressi della stazione ferroviaria. Ritrovata, poco dopo i militari sono riusciti ad ammanettarlo e a portarlo in cella con l’accusa di tentato omicidio, in attesa dell’udienza di convalida. Il meccanico è stato portato al pronto soccorso con tagli profondi sulla testa. Ha avuto bisogno di 20 punti di sutura.
A Buttone oltre al tentato omicidio del meccanico viene contestato pure lo stalking nei confronti di una donna. Era già stato raggiunto da un ammonimento per ipotizzati atti persecutori nei suoi confronti e ieri mattina, secondo gli investigatori, prima di recarsi in officina avrebbe di nuovo infastidito la signora, circostanza che ha contribuito a far scattare ieri il provvedimento restrittivo.
Salvatore è già noto alle cronache giudiziarie non solo per il suo legame di sangue al pentito Claudio, ex affiliato del gruppo Belforte. Nel 2018 è stato condannato con sentenza definitiva per truffa. Nel 2011, invece, venne coinvolto in un’inchiesta, coordinata dalla Dda di Napoli, che svelo le richieste di pizzo da parte di persone ritenute contigue ai clan Belforte e Piccolo sulle affissioni dei manifesti elettorali. Vicenda che gli è costata una condanna a 8 di reclusione confermata nel 2016 dalla Cassazione.
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