Caso camici, pm: “Fontana ha fatto i suoi interessi in pandemia”

Per l'aggiunto Maurizio Romanelli e il pm Paolo Filippini e Carlo Scalas, titolari delle indagini sul 'caso camici', la sentenza con cui il gup Chiara Valori ha prosciolto il governatore Attilio Fontana, il cognato Andrea Dini, titolare di Dama Spa e altre tre persone dall'accusa di frode in pubbliche forniture "è del tutto errata in fatto ed in diritto"

Foto AP / Luca Bruno in foto il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana

MILANO – Per l’aggiunto Maurizio Romanelli e il pm Paolo Filippini e Carlo Scalas, titolari delle indagini sul ‘caso camici’, la sentenza con cui il gup Chiara Valori ha prosciolto il governatore Attilio Fontana, il cognato Andrea Dini, titolare di Dama Spa e altre tre persone dall’accusa di frode in pubbliche forniture “è del tutto errata in fatto ed in diritto”. È quanto si legge in un passaggio del ricorso di 33 pagine depositato questa mattina in Corte di Appello dalla Procura.

In particolare, per i pm “le condotte in contestazione, funzionali alla tutela degli interessi personali del governatore Attilio Fontana e di quelli economici della Dama Spa riferibile alla moglie e al cognato hanno avuto l’esito di posporre l’interesse pubblico (alla completa e tempestiva esecuzione della fornitura) ad interessi privati convergenti degli imputati Fontana e Dini, con il concorso degli altri imputati, chiamati a dare esecuzione alle disposizioni del Presidente della Regione Lombardia”. Al centro del processo c’è la fornitura di 75mila camici e 7mila Dpi che Dama Spa, azienda del cognato di Fontana, Andrea Dini e al 10% della sorella Roberta, moglie del governatore, avrebbe dovuto consegnare a Regione Lombardia in piena pandemia in cambio di 513mila euro. Fornitura che poi, per l’accusa, sarebbe stata trasformata nella donazione di 50mila camici “una volta emerso il conflitto di interessi derivante dai rapporti di parentela” tra Fontana e “il fornitore”. Per l’aggiunto Romanelli e i pm Filippini e Scalas “l’istruttoria dibattimentale avrebbe dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il fatto estremamente grave dell’inadempimento – accompagnato dalle componenti di frode descritte nell’imputazione – della pubblica fornitura di dispositivi di protezione individuale nel pieno della pandemia da Covid-19” commesso dal governatore Fontana e dagli altri imputati. I pm nel ricorso in appello sottolineano anche che “i fatti, invero, si svolgono in piena pandemia, quando Aria non riusciva a soddisfare le richieste di Dpi provenienti dagli ospedali lombardi. È questo il primo dato che la sentenza impugnata equivoca, ma che riveste un ruolo primario per comprendere il senso della contestazione. Alla data dell’ordinativo di fornitura”, effettuato il 16 aprile 2020 “il fabbisogno era pari a 50.000 camici al giorno e tale sarebbe rimasto quantomeno sino a tutto il mese di giugno”.

LaPresse

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