ROMA – Un dubbio amletico aleggia nella Lega: restare o non restare al governo. Dilemma tutt’altro che facile da risolvere poiché implica scelte nette e conseguenze non pronosticabili in termini di tenuta interna e di consenso esterno. Un cambio in corsa di linea politica d’altronde rischia di mettere in crisi non solo i rapporti interni al Carroccio, dove da mesi convivono a fatica due anime, ma anche quelli del centrodestra di governo. Mentre infatti da Arcore Silvio Berlusconi ribadisce con chiarezza il sostegno di Forza Italia a Mario Draghi fino al termine della legislatura (chiamando però a raccolta i centristi), Matteo Salvini paventa una possibile uscita dall’esecutivo.
Strada questa suggerita peraltro da Giorgia Meloni agli alleati nel day-after del voto amministrativo che l’ha vista primeggiare all’interno della coalizione un po’ ovunque. “Non mi sono pentito di essere andato al governo. Non contavo di guadagnare voti e non ne ho guadagnati”, confessa Salvini, aggiungendo però che rispetto all’inizio la situazione oggi è diversa, e quindi “o questo è un governo che taglia tasse mettendo qualcosa nelle tasche degli italiani oppure alla lunga è complicato starci”.
Che il leader leghista però decida davvero di seguire la presidente di Fdi all’opposizione è tutto da vedere, anche perché se da un lato il Capitano mette in guardia l’esecutivo chiedendo “un cambio di passo” e sostenendo che verrà “pesato” su lavoro, tasse e pensioni, dall’altro non si sbilancia sulla dead-line. Prima infatti afferma di attendere risposte entro l’estate, più precisamente entro il 18 settembre quando la Lega tornerà a radunarsi sul pratone di Pontida dopo due anni di stop causa Covid; poi innesca una parziale retromarcia assicurando che non c’è nessun ultimatum a Draghi, che “le risposte che chiediamo al governo non hanno la scadenza di ferragosto o di metà settembre”.
Resta il fatto che ad osservare con interesse le mosse di Salvini ci sono gli avversari ma anche gli alleati. E a tal proposito, a molti non è sfuggito il messaggio inviato da Berlusconi ai centristi, accolto con favore dell’ala governista del partito che non ha mai nascosto l’avversione nei confronti dei sovranisti e dell’ipotesi di una fusione con la Lega in ottica elettorale. E non si placano neanche i travagli interni a via Bellerio, con i governatori che fanno asse stringendo a difesa del governo Draghi.
L’aut aut infatti non è piaciuto soprattutto a Massimiliano Fedriga e Luca Zaia, riferiscono fonti sul territorio, lo stesso che secondo rumors comincia a dubitare della linea del Capitano. La strada delle politiche, tuttavia è lunga, prima bisogna scavallare l’appuntamento dei ballottaggi, con Salvini che tende una mano a Tosi a Verona (“ho avuto in passato screzi con lui ma l’accordo lo farei anche domattina”) e chiama a raccolta Fdi a Catanzaro (“spero dia una mano”). Perdere infatti Verona non sarebbe solo un numero, ma una ferita al cuore della Lega.(LaPresse)