NAPOLI – Gli interrogatori preventivi tra ottobre e novembre scorsi, a fine dicembre, invece, il blitz. E ora proprio quell’inchiesta che ha fatto scattare l’ordinanza cautelare per 23 dei complessivi 504 indagati è stata dichiarata conclusa per 52 posizioni. Parliamo dell’attività investigativa, coordinata dal pm Gerardina Cozzolino, tesa a smantellare una presunta associazione criminale specializzata nel raggirare le compagnie assicurative. Un’ipotizzata struttura delinquenziale che si basa, sostengono i carabinieri del Nucleo investigativo di Aversa, su due cardini: da un lato alcuni camici bianchi, dall’altro una schiera di legali impegnati a procacciare chi, in cambio di pochi euro, si sarebbe prestato a fare da attore nei falsi incidenti. Tutti avrebbero marciato nella stessa direzione: procurare elementi (referti medici e testimonianze) in grado di provare l’esistenza di sinistri che mai, in realtà, si erano verificati e così riuscire a raggirare le compagnie assicurative. Il pm Cozzolino, dichiarando ultimata la fase preliminare dell’indagine, ora valuterà se e per chi dei 52 presenti nell’elenco avanzare la richiesta di rinvio a giudizio.
Gli indagati (da considerare innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile) sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere, fraudolento danneggiamento dei beni assicurati, falso, corruzione e favoreggiamento. Nel corso dell’attività investigativa è emerso, sostiene la Procura, diretta da Pierpaolo Bruni, che la gang era solita portare presso vari pronto soccorso della Campania, del Basso Lazio e del Molise persone che presentavano pregresse fratture, le quali, dichiarando false generalità ed esibendo documenti contraffatti, consegnati da altri complici compiacenti, si facevano rilasciare referti medici attestanti lesioni (non causate da sinistri stradali). Questi certificati venivano poi usati per presentare istanze di risarcimento danni alle varie compagnie assicurative, collegando le ferite agli effetti di incidenti automobilistici di fatto mai avvenuti. Il presunto gruppo criminale era solito inviare, invece, persone sane che si prestavano a dichiarare il falso sostenendo di essere state coinvolte in incidenti, nei pronto soccorso di Marcianise e Maddaloni, dove c’erano camici bianchi compiacenti che accertavano lesioni inesistenti. E in cambio di tale condotta, i dottori avrebbero ricevuto denaro dall’organizzazione. Questi certificati venivano dichiarati conformi da un infermiere addetto all’archivio sanitario della direzione ospedaliera di Marcianise per superare il controllo effettuato successivamente dalle agenzie investigative incaricate dalle compagnie assicurative coinvolte, in modo da ottenere indebitamente, senza alcun intoppo, le somme erogate a titolo di risarcimento. Nel corso dell’operazione, i carabinieri hanno sequestrato 600mila euro, in parte in contanti e in parte sui conti, proprio a due medici che avrebbero accumulato quel denaro – questa è l’ipotesi – con i proventi della partecipazione alle truffe.
Insomma, secondo l’accusa i medici nel sistema avrebbero avuto un ruolo fondamentale. Chi sarebbero questi camici bianchi coinvolti? Tra loro figurano Domenico Fiorito, Salvatore Salvemini, Gennaro Rondinone e gli infermieri Antonio Letizia, addetto all’archivio sanitario della direzione sanitaria del nosocomio, e Angelo Palmiero, caposala dello stesso ospedale (all’epoca dei fatti contestati tutti in servizio presso l’ospedale di Marcianise).Quella che è stata considerata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere la mente dell’ipotizzata organizzazione criminale ha sede nell’Agro Aversano. Da chi è formata? Per gli inquirenti, ad animarla sono i fratelli Guglielmo e Gianluca Di Sarno. Sarebbero loro, afferma il pm Cozzolino, i promotori e organizzatori del gruppo, che stabilivano le modalità delle azioni delittuose. Insomma, erano il vertice della ‘piramide’. I due, secondo la tesi dell’accusa, non si limitavano a organizzare tutti gli elementi necessari per presentare la richiesta di risarcimento, ma si attivavano anche per la pratica giudiziaria. E appena un gradino più in basso in questa piramide, in veste di loro collaboratori, c’erano, secondo gli inquirenti, Antonio Abatiello e Emilio Acunzo.