RIMINI – Il cinema italiano è migliorato rispetto al periodo pre-Covid, ma le sale cinematografiche sono destinate a sparire. E’ questo, in sintesi, il pensiero che il regista Pupi Avati ha espresso a margine del suo intervento al Meeting di Rimini. Un plauso, quindi, al nuovo corso dell’arte cinematografica italiana che “si presenta in un modo meraviglioso. Credo che poche volte nella storia della Mostra del Cinema abbiamo avuto una rappresentanza di film, almeno sulla carta, così interessanti e lontani da quel cinemetto-commedia che si è fatto negli anni precedenti al Covid. C’è un mutamento di rotta nella qualità e nelle ambizioni sostanziale”. Un cinema che, secondo Avati, “stranamente ha ripreso una sorta di coraggio, di voglia di uscire da quella che era la rassicurazione della commedia sempre con gli stessi attori. Adesso fortunatamente si è tornati a fare un cinema d’autore significativo e importante”.
Questo punto positivo, però, non cancella quello che secondo il regista è un destino segnato. “Purtroppo – commenta Avati – questi film sono destinati ad avere una vita grama nelle sale cinematografiche. Sicuramente non soddisfacente” e “il fatto che la sala abbia, temo, un destino segnato mi dà un enorme dolore. Perché nella sala il film comanda, mentre un film su una piattaforma col telecomando lo si abbandona. E poi il rispetto nel contesto in cui viene visto il film: il silenzio”. D’altra parte, lui stesso viene dall’esperienza di ‘Lei mi parla ancora’, “che siamo stati costretti a programmare su una piattaforma digitale, con un risultato clamoroso, ma la sala era preclusa. E vedo che adesso il ritorno in sala è diventato difficile. Il cinema è uscito dalle abitudini dei ragazzi. Temo che pagheranno gli esercizi. Ed è strano che in un momento di così grande difficoltà del cinema italiano si produca così tanto. Non si è mai prodotto così tanto come adesso”.
Nonostante i timori per il futuro del cinema, il regista è al lavoro sul suo nuovo film su Dante: “Lo abbiamo fatto contro tutto e tutti, per ragioni anche di carattere anagrafico. Io sono un uomo di 82 anni, un film così complicato, che avrei dovuto fare 20 anni fa, presenta difficoltà di carattere anche finanziario. Abbiamo scoperto che, malgrado tutte le promesse e la cattiva letteratura che c’è in giro, quando si è trattato di aiutare il mio film, a parte Rai Cinema e adesso il ministero, non abbiamo avuto nessun tipo di supporto. Sarebbe stato un progetto che meritava di essere aiutato in modo ben diverso”. Il suo Dante sarà “seducente. Quello che mi è stato insegnato dalla scuola era un Dante completamente repulsivo. Poi dopo i 30 anni l’ho scoperto attraverso le sue opere giovanili e ho scoperto un ragazzo con una capacità di introspezione poetica straordinaria e modernissima. Ho cercato di raccontare nel mio film soprattutto quel ragazzo”.
Avati riflette anche sulla pandemia, che ” mi ha insegnato la modestia dell’essere umano occidentale. Se pensate al dibattito sul Green pass mentre a poche centinaia di chilometri ci sono mamme che lanciano bambini al di là dei muri e noi stiamo a litigare per il Green pass, è una delle cose più vergognose e imbarazzanti. Ci dobbiamo vergognare”.
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