NAPOLI (Angela Garofalo) – È indubbio, il cinema made in Naples registra consensi di critica e premi, oltre che di pubblico. ‘Un giorno all’improvviso’ per la regia di Ciro D’Emilio è solo l’ultimo, in ordine di tempo, di questo elenco; ricevendo svariati premi dopo la presentazione, alla sezione Nuovi Orizzonti della 75esima Mostra del Cinema di Venezia dove, ha conquistato critica e pubblico. Oltre la nomination ai David di Donatello per Anna Foglietta come Miglior Attrice Protagonista nel ruolo della madre di Antonio, interpretato dall’attore Giampiero de Concilio. Domani regista e parte del cast, Giampiero De Concilio, Giuseppe Cirillo e Lorenzo Sarcinelli, saranno ospiti per la presentazione del film, all’interno della rassegna Cineforum di Arci Movie che si svolge al Cinema Pierrot di Ponticelli a Napoli.
“Un giorno all’improvviso”, girato in napoletano, racconta con tatto e realismo di Miriam e Antonio. Madre e figlio. Lei, interpretata da Anna Foglietta, è una madre problematica, causa la sua natura ingombrante e perché sotto tutela psichiatrica. Mentre Antonio, interpretato da Giampiero de Concilio, figlio diciassettenne con la passione per il calcio, sogno condiviso da tanti suoi coetanei che appartengono ad un substrato povero fatto di espedienti e rassegnazione; trova in questo sport per il quale è portato, il lasciapassare per una vita migliore. Per sua madre e per sé. Il riscatto, il cambio di passo, il trofeo da esibire in una società che l’ha etichettato come figlio ‘di’ e abbandonato dal padre Carlo. All’improvviso la vita sembra regalare ad Antonio e Miriam una vera occasione: un talent scout. Michele Astarita sta cercando delle giovani promesse da portare nella Primavera del Parma e sta puntando sul ragazzo.
Non nella trama dove gli elementi che si propongono sono collaudatissimi ma, è nella tessitura, la recitazione, la fotografia e nella bravura dei protagonisti, che s’insedia il film, gemmando un piccolo capolavoro. Il film scritto insieme a Cosimo Calamini è stato già presentato in quasi 30 festival internazionali e ha ricevuto diversi premi: il Premio di Critica Sociale ‘Sorriso Diverso Venezia’ e il ‘Nuovo Imaie Talent Award’ alla Mostra del Cinema di Venezia; il Premio ‘FICE’ Attrice dell’Anno a Anna Foglietta agli Incontri del Cinema d’essai; il Premio ‘CICAE’ al Festival di Annecy Cinema Italien; il Premio del Pubblico al Festival del Cinema di Spello, il Premio ‘Ville deTorus’ alle JournéEs du Film Italien a Torus.
Ciro D’Emilio, regista e sceneggiatore classe ’86 è nato a Pompei. Dal 2005 vive a Roma, dove consegue la laurea in Regia al Dams all’Università di Roma Tre. Nel 2007 scrive, produce e dirige il suo primo cortometraggio dal titolo ‘L’altro’ che affronta il problema della xenofobia, vincendo numerosi premi nazionali e internazionali, come il Best European Short Award al West Hollywood International Film Festival 2008. Nel 2011 fonda con Manuela Ianniello la Road To Picturse Film, e produce il suo secondo cortometraggio, ‘Massimo’ che narra la drammatica vicenda di un giovane soldato italiano in missione in Medio Oriente. Il cortometraggio è presentato in anteprima al Cape Winelands Film Festival 2012 in Sud Africa, per poi approdare al FirstGlance Hollywood Film 2012 vincendo come Best Short nella sezione online. In Italia partecipa a molti festival di settore, vincendo svariati premi. Nel 2013 realizza il suo terzo cortometraggio, dal titolo ‘Un Ritorno’, il corto ambientato nella provincia di Salerno partecipa a molte rassegne e raccoglie consensi e premi, tra cui la vittoria al VideoCortoNettuno 2013, dove porta a casa il premio come Miglior Regia, Miglior Fotografia, Miglior Scenografia, Miglior Attore Non Protagonista, e la vittoria come Miglior Film al Visioni Corte Film Festival.
Nel 2017 scrive e dirige il suo quarto cortometraggio ‘Piove’, la storia di quattro ragazze africane durante una radiosa giornata di pioggia. Il film breve, solo sette minuti, riceve oltre 60 selezioni nei festival nazionali e internazionali, in concorso ufficiale a ben quattro festival del circuito Oscar Academy Awards (Tirana Film Festival (Albania), Festival de Huesca (Spagna), Festival Regard (Canada) e Odense IFF (Danimarca), vincendo decine di premi, come il Vesuvio Award al Miglior Corto al Napoli Film Festival, l’EuroShort Award al Sedicicorto Film Festival e il Premio Rai Cinema Channel a Busto Arsizio Film Festival.
Un giorno all’improvviso: storia di sacrifici, abbandoni, sogni e…?
Direi anche una storia di resilienza. Dove il personaggio principale, Antonio, con grande capacità e altrettanta difficoltà, fa di tutto per affrontare eventi di grande impatto traumatico. La sua aspirazione salvifica, nel provare a portare via sua madre da quel contesto, si scontra continuamente con tutti i pezzi del puzzle. Sarà la vita, all’improvviso, a scagliarsi in maniera potente nel suo quotidiano.
Gli ingredienti sono ‘noti’, eppure emerge un’atmosfera nuova, quasi rarefatta. Merito degli attori ma anche del lavoro di squadra. Come è avvenuta questa scelta?
Penso che vada dato il merito a questo film di aver rappresentato una nuova modalità di lavoro di squadra, dove tutti hanno voluto il bene del film. Gli attori, i produttori e tutta la troupe hanno dato al film un contributo umano ancora prima che professionale, rendendo questa lavorazione una bellissima esperienza di vita. Le mie scelte rispetto alla troupe hanno sicuramente tenuto conto di chi avrebbe, a mio avviso, portato nel progetto una qualità professionale ma anche un grandissimo entusiasmo, ingrediente fondamentale per portare alla luce questo film.
Il film è in lingua napoletana con i sottotitoli. Perché non in italiano?
Oltre alla resilienza, un valore che mi interessa è quello dell’identità. L’identità ci racconta quello che siamo e le nostre radici. Ma non deve mai essere confuso con gli atteggiamenti di campanilismo che spesso nel cinema riproducono uno o più stereotipi di un territorio. Collocando la storia di una provincia italiana, non ho potuto eludere la scelta di un dialetto specifico. Sono convinto che i dialetti sono un grande patrimonio culturale e linguistico della nostra nazione. Appiattire il linguaggio del film con un “generico” italiano avrebbe reso tutto più banale e più finto. Sia chiaro che se avessi deciso di collocare il film in un territorio diverso della penisola, avrei agito ugualmente alla ricerca di quella verità culturale e storica che il dialetto di quei luoghi avrebbero potuto restituire alla storia.
Diversi riconoscimenti per un’opera cinematografica, espressione di questo nuovo neorealismo anche del cinema napoletano, che sta regalando grandi soddisfazioni. Lei quando ha deciso di occuparsi di cinema?
Da bambino, verso i sette-otto anni, sono stato decisamente influenzato e affascinato da alcuni film cult dell’epoca: I Goonies, Stan by me, Navigator, Explorer, ecc. Negli anni successivi ho sviluppato un’urgente necessità di raccontare storie, forse per provare ad interpretare il mondo che mi circondava o semplicemente per evadere da un contesto che andava in controtendenza rispetto alle mie aspirazioni. Motivo principale che mi ha portato al trasferimento a Roma, a diciotto anni, per inseguire quello che nel frattempo era divenuto il mio sogno. È in quel frangente, penso, di aver deciso realmente di occuparmi di cinema, lasciando la mia casa e allontanandomi dalla mia famiglia.