Se il clan dei Casalesi, adesso, appare militarmente inoffensivo, se alla forza delle armi preferisce, ora, la meno chiassosa corruzione, è anche grazie alla costante pressione a cui viene sottoposto dagli investigatori. Perché l’indole sanguinaria della maggior parte degli affiliati che lo animano (entrando e uscendo dal carcere), al di là delle macro strategie che il crimine adotta per rigenerarsi, non cambia: era ed è violenta. Ed infatti, se Oreste Reccia, alias Recchia ‘e lepre, uomo di vertice della cosca sanciprianese, non fosse stato arrestato nell’estate del 2021, c’era il serio rischio di dover assistere di nuovo ad azioni brutali.
Il boss, messosi la prigione alle spalle nel 2020, immediatamente si era rituffato nella malavita. Come? Riorganizzando il gruppo mafioso e taglieggiando commercianti e imprenditori dell’Agro aversano. Nel suo programma malavitoso rientrava anche la volontà di dare un segnale forte ai collaboratori di giustizia. Ad intercettare questa idea del sanciprianese sono stati gli agenti della Squadra mobile di Caserta. I poliziotti hanno registrato un’interessante conversazione (grazie al trojan installato sul suo cellulare), che Reccia aveva intrattenuto con Giuseppe Diana, 58enne, pure lui di S. Cipriano, detto ‘o Ciuraro.
Da questa chiacchierata è emersa l’intenzione di concretizzare azioni ritorsive nei confronti dei familiari dei pentiti che vivono nell’Agro aversano. Era il 2 marzo 2021: “Questi prima o poi una botta me la danno, Peppe. Ma che tiene da parlare, Pinù – dice Reccia a Diana -. Questi non ci dovrebbero proprio stare qua (i parenti dei collaboratori). Ma ci sono, per il momento. Perché le cose devono andare così. Perché il fratello di ‘Caricallieggio’ (Giuseppe Misso, ndr), il fratello dello ‘Sbirro’ (Francesco Barbato, ndr) devono stare qua. Tu uno solo te ne fai di questi (il riferimento è alla possibilità di uccidere i germani dei due pentiti) e se ne vanno tutti quanti. Quello è il problema uno solo e dicono: hanno iniziato”.
Se il macabro piano di Reccia non è diventato realtà, è perché gli agenti sono riusciti a troncarlo sul nascere. Raccolte tempestivamente le prove, lo hanno arrestato e fatto condannare per mafia e pizzo (con verdetto irrevocabile). E nei mesi scorsi sono stati in grado anche di ammanettare chi, secondo la Dda di Napoli, aveva preso il suo posto nella cosca di San Cipriano: Emilio Martinelli, figlio del killer Enrico. Il 33enne ora è in carcere cautelarmente (provvedimento confermato dal Riesame) con l’accusa di associazione mafiosa.