Clan dei Casalesi, l’ombra dell’ala Bidognetti dietro gli spari contro la casa dei figli di Sandokan

L’esilio che aveva ordinato Sandokan jr dal carcere per ‘Nanà’ e la pretesa di un uomo vicino a Cicciotto di avere la quota delle bische: tensione tra le cosche.

È in ciò che resta del mondo bidognettiano che potrebbero trovarsi la mente e l’esecutore dei due raid andati in scena nelle scorse ore. Se ci spingiamo a restringere il campo così nettamente, è per due motivi. Il primo. Preso atto che si è trattato di azioni contro gli Schiavone, va ricordato che Emanuele Libero, mentre era in carcere, stando a quanto riferito da recenti collaboratori di giustizia (tra loro Vincenzo D’Angelo Biscottino, genero del boss Francesco Bidognetti), usando cellulari ‘clandestini’ aveva continuato a farsi sentire.

Seppur con poca incidenza, perché, probabilmente, ad eseguire i suoi dettami erano (e sono) in pochi, nonostante la galera, il figlio di Sandokan era ‘presente’. E in una circostanza, avrebbe persino disposto l’esilio da Casale per Gianluca Bidognetti Nanà, suo (ex?) amico e figlio del boss Cicciotto ‘e mezzanotte.

Quando sarebbe stato scarcerato, così ordinò, Nanà non avrebbe potuto abitare a Casale, ma al massimo a Castelvolturno. Per quale ragione? Perché Gianluca Bidognetti si sarebbe intromesso nell’acquisto all’asta di immobili riconducibili alla famiglia di Francesco Barrino (bidognettiano) che stava eseguendo un’agenzia con la benedizione della cosca Schiavone. Insomma, l’atteggiamento che ha avuto Emanuele Libero quando era in prigione ha inevitabilmente creato tensione con la cosca bidognettiana.

Veniamo al secondo motivo. A destabilizzare la quiete di Casal di Principe e dintorni negli ultimi tempi sarebbe stato proprio un personaggio indirettamente legato al gruppo di Cicciotto ‘e mezzanotte Intorno a lui si sarebbe addensato un team di giovanissimi e di stranieri dedicatosi non solo allo spaccio di droga, ma anche all’organizzazione di rapine e furti. Altro elemento: pochi giorni dopo la notizia della collaborazione con la giustizia di Sandokan, il soggetto in questione avrebbe bussato alla porta di una bisca (lo abbiamo raccontato sull’edizione del 17 aprile scorso) pretendendo che la quota solitamente consegnata agli Schiavone da quel momento in poi sarebbe dovuta essere destinata a lui.

Tutto questo porta a ritenere probabile che a rendersi protagonista di questi gesti violenti siano stati proprio il bidognettiano e la sua gang. Con Emilio Martinelli ora in cella (che con il suo gruppo si stava staccando dall’area Sandokan) adesso sono tra i pochi criminalmente attivi e non allineati agli Schiavone disposti a fare azioni rumorose. Logicamente, ci troviamo di fronte a uno scenario totalmente distante dal clan dei Casalesi che avevamo imparato a conoscere con il processo Spartacus e i suoi derivati.

Quella che c’è ora è una criminalità che si ritrova, per esigenza, a ricalcare sistemi che ricordano quelli napoletani: più camorra e meno mafia, più rumore e meno azioni silenziose (ci riferiamo a quelle che toccano livelli alti dell’imprenditoria e della politica). L’ala del clan dei Casalesi che si dedica ai business imponenti, che gestisce i patrimoni accumulati all’estero, che punta ai grandi appalti, c’è ancora, ma non è mai stata ‘cosa’ dei Bidognetti e ormai non lo è più neppure degli Schiavone. In questo settore, gli unici a muoversi ancora con relativa agilità sono gli Zagaria. Ma questa è un’altra storia.

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