NAPOLI – “Le analisi condotte sulla lunga crisi che ha scosso nell’ultimo decennio il mondo delle imprese armatoriali segnalano in modo piuttosto evidente come siamo di fronte ad un cambiamento epocale. La storia economica ci insegna che l’evoluzione del contesto di riferimento porta a modifiche strutturali nei modelli organizzativi e strategici delle imprese e occorre prendere atto che una rivoluzione di questa portata si è manifestata nell’ambito delle imprese armatoriali”.
Lo ha detto Vincenzo Moretta, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Napoli presentando il forum sull’Economia del mare e nuovi modelli di Governance che si terrà domani, lunedì 4 novembre dalle ore 15,00 presso la sede dell’Odcec (piazza dei Martiri, 30).
All’incontro interverranno Antonio Tafuri (presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli), Joshua Lawrence (Consolato Usa), Mario Mattioli (presidente Confitarma), Nicola Coccia (presidente Polo dello Shipping Napoli), Salvatore Lauro (presidente VolaViaMare), Mario Santaroni (professore di Risanamento d’Impresa all’Università Bicocca di Milano), Angelo D’Amato (Ceo Perseveranza S.p.A. di Navigazione), Fabrizio Vettosi (managing Director di Venice Shipping and Logistics S.p.A.), Paolo Guida (notaio)
“Non è azzardato pensare che una maggiore concentrazione possa portare a rendimenti più stabili rispetto al passato – ha aggiunto Moretta – con implicazioni significative sull’attrattività finanziaria dell’investimento nelle imprese armatoriali da parte di risparmiatori e investitori istituzionali. In un contesto di rendimenti molto bassi (quando non negativi) e di grandi giacenze di liquidità in cerca di impieghi redditizi, le imprese armatoriali, che beneficiano di un livello di tassazione molto basso, potrebbero divenire attraenti anche per quanto riguarda le emissioni di valori mobiliari azionari e obbligazionari”.
Secondo Giuseppe Laurino, consigliere nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili con delega al made in Italy, in Italia le aziende familiari rappresentano circa l’85% del totale delle aziende; in linea con gli altri grandi paesi Europei (UK, Germania, Francia, Spagna). Circa il 66% delle aziende familiari italiane però ha un organo amministrativo composto interamente da componenti della famiglia (in Francia circa il 26%, in UK circa il 10%). Questo rappresenta al momento un nostro limite culturale.
Le imprese armatoriali per la natura del business sono da sempre state costrette a competere in contesti internazionali, aprendosi ed adattandosi a diverse culture e nuove tendenze e modelli di business, a volte gelosamente preservati, e di cui spesso gli armatori sono stati precursori”.
Liliana Speranza, consigliere delegato della commissione Economia del mare dell’Odcec Napoli ha evidenziato che “la rapida consecutio fra crisi del sistema bancario internazionale e crisi dei noli, con l’uscita forzata di gran parte delle banche dal finanziamento delle imprese armatoriali ha innescato una serie di insolvenze a catena, che hanno profondamento condizionato l’evoluzione del settore. In effetti da molti anni si discuteva della possibile apertura del mercato del capitale di rischio per le imprese armatoriali, sia attraverso la quotazione in borsa, sia con l’intervento dei fondi di private equity. Questa apertura, inizialmente timida, ha subito una rapida accelerazione proprio nei tempi e nelle forme meno auspicabili, ovvero durante la crisi e mediante la ristrutturazione dei debiti in sofferenza da parte dei vulture funds (fondi ‘avvoltoio’)”.
Per Arturo Capasso, presidente della commissione dell’Economia del Mare, “il futuro potrebbe riservare imprese armatoriali più forti, che poggiano i loro investimenti su una base azionaria ampia e diversificata ma che possono contare, sia per la componente manageriale, sia per i ruoli imprenditoriali sulle competenze e sull’esperienza che sono patrimonio storico degli armatori italiani. Occorre, tuttavia che la positiva integrazione fra nuovi azionisti, mercati finanziari e imprenditoria del settore sia favorita da una governance forte e autorevole. In presenza di azionisti diversificati, non più solo armatori, ma banche, fondi, investitori istituzionali, il Consiglio di Amministrazione assume un ruolo centrale come trait d’union tra stakeholder (primo fra tutti il gruppo variegato di azionisti) e funzione imprenditoriale e strategica”.
“La modifica dell’art.2086 del codice civile – ha sottolineato Egidio Filetto (partner PwC TLS) – attuata mediante il D.Lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019 impone agli imprenditori di dotarsi di modelli di governance che siano adeguati rispetto alla natura e alle dimensioni dell’impresa.
Tale novità rappresenta per le imprese armatoriali l’occasione per ripensare ai propri modelli organizzativi, storicamente caratterizzati dalla presenza di un management a forte vocazione familiare, e ad aprirsi verso assetti di gestione che siano idonei a garantire sistemi di controllo interno tempestivi e a monitorare i rischi di insolvenza e di crisi”.
Salvatore Sbrizzi (ex magistrato e componente dell’organismo di Vigilanza) ha evidenziato che “la maggior parte delle società e degli enti ha ormai compreso che adottare il modello organizzativo previsto dal D. Lgs. 8.6.2001, n. 231 è una scelta organizzativa conforme alla legge e ciò significa impostare l’attività dell’impresa secondo determinati criteri. In questa organizzazione è centrale l’Organismo di Vigilanza per il fatto che la possibile esenzione da responsabilità dell’ente passa in via prioritaria dalla valutazione della idoneità dell’organismo ad assolvere i compiti ad esso attribuiti dalla legge”.
Il commercialista partenopeo Luigi Maria Rocca ha osservato che “i due impianti organizzativi previsti dalla normativa sulla crisi di impresa e dalla responsabilità amministrativa di impresa (ex D.lg.vo 231) hanno funzioni differenti, quello del nuovo codice della crisi ha una funzione gestionale, quello 231 ha una funzione preventiva”.
“All’estero è ormai riconosciuto il valore fondamentale che possono avere nelle strutture di governance, i “Non-executive Directors” – ha sostenuto l’avvocato Carlo Morace -, soprattutto con riferimento alla tendenza ormai consolidata volta allo sviluppo di un business sostenibile.
Il ruolo dei cd. ‘Ned’ consiste sostanzialmente nel contribuire allo sviluppo di una cultura del valore, della valutazione e prevenzione dei rischi e della sostenibilità del business, grazie ad un approccio costruttivo supportato da esperienze e competenze, con un apporto imparziale ed obiettivo all’interno dell’organo amministrativo”.