Condannato l’imprenditore Siciliano

L’uomo d’affari di Capodrise ha affrontato il processo con le accuse di riciclaggio e minacce

MARCIANISE – Tre condanne e una prescrizione: è così che si è concluso il primo grado del processo nato dall’inchiesta della Dda di Napoli, tesa a tracciare un presunto giro di prestiti a strozzo ed estorsioni realizzati in nome dei Belforte (Mazzacane). Gennaro Buonanno, detto ‘Gnucchino’, storico esponente dei Belforte, ha incassato 10 anni di reclusione, Raffaele Iuliano ha ottenuto 3 anni e 9 mesi, mentre 6 anni e 4 mesi sono stati inflitti all’imprenditore Paolo Siciliano di Capodrise. Non luogo a procedere, invece, per Michele Campomaggiore perché il reato contestatogli è stato prescritto.

Nel collegio difensivo figurano gli avvocati Massimo Trigari, Giuseppe Foglia, Gabriele Amodio e Alfonso Forgiuele. Ad emettere il verdetto è stato il collegio B, presieduto dal giudice Luciana Crisci, della terza sezione penale del Tribunale di S. Maria Capua Vetere. Paolo Siciliano ha affrontato il giudizio con le accuse di minacce e riciclaggio, mentre Iuliano e Gennaro Buonanno di estorsione. Campomaggiore ha affrontato il processo per usura, reato contestato anche a Buonanno.

Stando alla tesi dela Dda, ‘Gnucchino’ insieme al figlio Giovanni, oggi collaboratore di giustizia, avrebbe prestato denaro con interessi al 120% annuo a un commerciante locale tra il 2008 e il 2016. Quando il soggetto aveva iniziato a non restituire quanto richiesto, l’esponente del clan avrebbe fatto ricorso alla violenza, aiutato, sostiene l’Antimafia, da Iuliano.

Campomaggiore, dicono gli inquirenti, aveva prestato denaro a strozzo alla stessa vittima di Buonanno tra il 2008 e il 2009.
Siciliano, invece, avrebbe commesso il reato di riciclaggio poiché, in qualità di amministratore della società Gruppo Siciliano, che gestisce una rete di market, avrebbe incassato assegni provenienti dall’attività usuraia condotta proprio da Buonanno e Campomaggiore. Inoltre, avrebbe minacciato la vittima dell’usura di Buonanno affinché dichiarasse il falso alla guardia di finanza in merito agli assegni.
Pochi mesi dopo il blitz, collegato a questa inchiesta, Giovanni Buonanno iniziò a collaborare con la magistratura, fornendo informazioni che aiutarono i carabinieri a smantellare una rete di spacciatori.

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