NAPOLI – Quindici croci per quindici categorie. Il popolo delle partite Iva sceso ieri mattina in piazza ha scelto un simbolo forte, potente, quello appunto della croce, per manifestare la propria disperazione. Centinaia le persone che hanno protestato in piazza Plebiscito, dinanzi al palazzo della Prefettura, in rappresentanza di tutte quelle categorie praticamente annientate dalle chiusure che il governo ha stabilito per contenere la diffusione del Covid nel nostro Paese. Parrucchieri, ristoratori, lavoratori nel settore del wedding, della moda, dello spettacolo, degli eventi e del turismo, albergatori, dipendenti del trasporto privato, agenti di commercio.
In piazza, al fianco dei lavoratori, c’erano Confesercenti e la Confederazione Imprese e Professioni Napoli. Proprio quest’ultima (che mette insieme tutti i centri commerciali cittadini di Napoli) la settimana scorsa ha lanciato ‘Sos imprese e professioni’, un’azione legale di massa per chiedere che la giustizia riconosca a tutti i lavoratori il totale dei debiti e dei costi maturati per le reiterate chiusure. “Una class action che non si basa sui mancati incassi, ma sul principio che per stare chiusi abbiamo maturato costi e debiti che saranno lì il giorno in cui riapriremo (e non sappiamo ancora quando ciò avverrà). Partiremo, insomma, con un anno di debiti. Questo la politica non lo ha capito”, denuncia Mauro Pantano, presidente della Confederazione.
Tasse, cartelle esattoriali, stipendi, Iva, contributi, fitti, fornitori, utenze: tutte spese accumulatesi nonostante le chiusure, e che queste persone non hanno i soldi per poterle pagare. “Se il Governo non interviene, che lo faccia un giudice. Perché l’alternativa a tutto questo sarà il fallimento e l’abusivismo, con le attività chiuse facile preda della criminalità organizzata. Abbiamo partecipato a questa manifestazione nazionale per essere solidali con tutte le associazioni che rappresentano le partite Iva e chiesto un incontro con il prefetto di Napoli, al quale abbiamo consegnato le nostre istanze”, conclude Pantano.
LA TESTIMONIANZA
Napoli è una città triste, avvilita, svuotata, privata della sua linfa vitale quella che osserviamo camminando per strada. Sguardi bassi, non più rivolti alle vetrine: sono tutte vuote, o coperte dalle serrande abbassate. Chiusi migliaia di negozi, falciati dall’arrivo del coronavirus a Napoli e dalle continue chiusure, dopo le quali non sono seguiti adeguati sostegni. La somma di queste sciagure che, una dopo l’altra, si sono abbattute in città, dipinge di nero quel viso un tempo ridente di Partenope. I napoletani, si sa, sono maestri nell’arte dell’arrangiarsi. Eppure adesso, per tanti cittadini, guardare al domani è diventato davvero difficile.
E’ il caso di Nino, un lavoratore che fino a pochi mesi fa possedeva un negozio al Vasto. ‘Nino’ non è il suo vero nome: ci ha chiesto di omettere la sua identità, insieme a tutti gli altri dettagli che lo potrebbero rendere riconoscibile. “Mi metto vergogna”, dice subito l’uomo. La vergogna: un sentimento al quale in tanti sono costretti, ridotti all’osso da decisioni che hanno ucciso intere categorie. Nino ha dovuto chiudere il suo negozio, cedere l’attività e decidersi ad aspettare tempi migliori. “Almeno così non farò altri debiti”, dice l’uomo. Che comincia così il suo triste racconto: “Ricordo benissimo il giorno in cui l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciò il primissimo lockdown. Pensai: “Ecco, è finita”. Ho una compagna, non siamo sposati e per fortuna non ho figli, ma ho sempre badato io a mia madre, che è malata, e con la mia attività, aperta da poco, cominciavamo a fare dei progetti. Ma per me che sono un commerciante, il Covid ha significato la fine. Ho stretto i denti fino all’estate scorsa, quando ho potuto guadagnare qualcosina in più. Ma sono riuscito solo a mettermi in pari con le spese accumulate: il fitto, le bollette arretrate. Quando ci hanno chiuso di nuovo, però, ho deciso di dire addio al mio negozio: ho ceduto anche l’attività. Ora sono a casa, cerco una nuova occupazione. Lavora solo la mia compagna: tirare avanti è diventato difficile”, conclude Nino, che confessa: “A un certo punto ho anche pensato di rivolgermi agli usurai, pur di portare avanti il negozio. Per fortuna la mia ragazza mi ha fermato in tempo”.