Crisi e caos, nasce asse Pd-M5S. Ma i dem hanno due leader e Di Maio è indeciso

in foto Luigi D Maio

MILANO – Mamma, che caos. La crisi di governo che Giuseppe Conte voleva “la più trasparente della storia repubblicana”, si sta frantumando in mille piccoli pezzetti e rimetterli insieme è un’impresa tutt’altro che facile. Soprattutto dopo il voto in Senato sul calendario, che ha spalancato le porte a una nuova maggioranza.

La politica italiana vive un momento di confusione totale, dal quale emergono chiaramente solo pochi punti fermi: esistono due Pd, uno nato delle primarie, in mano a Nicola Zingaretti, l’altro parlamentare (figlio delle elezioni del 4 marzo 2018), in cui comanda solo Matteo Renzi. Il problema sorgerà nascerà quando si dovrà decidere quale dei due avrà mandato a trattare con i Cinquestelle l’accordo un governo di legislatura e chi, invece, salirà al Colle per le consultazioni con il capo dello Stato.

Non è tutto oro quello che luccica nemmeno nel M5S

L’obiettivo principale sembra essere diventato, di colpo, “fottere” Matteo Salvini: “Non gli daremo quello che vuole”, dicono le ‘voci di dentro’, riferendosi chiaramente alle elezioni anticipate. Tutte le anime pentastellate – per dirla con le parole di Nicola Morra – “non parlano bene” del ministro dell’Interno e “della scelta che ha operato”, smentendo dunque i contatti che i leader leghista dice di aver avuto con un pezzo di truppa gialla.

Ma la spaccatura c’è, tra quella parte di Movimento che vede ancora Luigi Di Maio mazziere nella nuova partita con i dem e chi, invece, crede sia arrivato il momento di cedere il pallone a Roberto Fico. Anzi, se vogliamo essere precisi, la scuola di pensiero che sta prendendo piede vedrebbe di buon occhio la promozione del presidente della Camera a Palazzo Chigi, location su cui vorrebbe provare a costruire una leadership anche lo stesso premier Conte.

Il regolamento interno, però, non prevede ‘ribaltoni’, dunque – a meno di clamorose sorprese – al tavolo delle trattative si accomoderà l’attuale capo politico. E qui si presenta l’ennesimo problema. Di Maio non ha nessuna intenzione di discutere con Renzi, ma aspetta che a muovere per primo sia Zingaretti. Il concetto base, più o meno, richiama il classico refrein pentastellato: si parla solo con chi è legittimato dal popolo.

Ma è chiaro che Zinga si trova, suo malgrado, in una condizione di ‘sovranità limitata’, per utilizzare un termine di moda oggigiorno. E dunque sarà necessario aspettare che i termini di un eventuale accordo vengano ratificati anche dal ‘secondo’ Pd, quello parlamentare a trazione renziana. Che intanto ha già avviato le proprie ‘consultazioni’ con l’ala sinistra e centrista del Movimento.

Ufficialmente questa versione dei fatti è smentita seccamente da tutti gli schieramenti in campo, ma poi, ufficiosamente c’è chi consiglia di “mettere in fila i fatti”, partendo dalla sparizione miracolosa, dalle bacheche grilline, dei consueti attacchi a Renzi. Anzi, ‘Renzie’.

In questo vortice di scenari, quando la situazione sembrava non poter essere più ingarbugliata di così, ci ha pensato Salvini a scassare ancora le poche, fragili convinzioni. Con l’apertura al Tagliapoltrone: “Facciamolo insieme”. Di Maio ha incassato senza affondare nuovi colpi all’ex alleato, anzi ha rilanciato proponendo di ridurre gli stipendi di deputati e senatori: “Facciamolo subito. In ufficio di Presidenza della Camera abbiamo ancora la maggioranza”. Una frase che apre altri dubbi: solo tattica politica o nostalgia del recente passato? In attesa di sciogliere l’arcano, la comunicazione M5S continua a impallinare l’ex ‘amico’. (LaPresse)

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