MILANO – Pronti al voto, impossibile continuare a governare con i Cinquestelle, definiti inaffidabili dopo la rottura del “patto di fiducia”, come denunciato dal presidente del Consiglio, Mario Draghi. Ecco la linea di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi dopo un “lungo e cordiale” incontro a Villa Certosa, la residenza estiva del presidente di Forza Italia in Sardegna. “Le nuove dichiarazioni di Giuseppe Conte – contraddistinte da ultimatum e minacce – confermano la rottura di quel ‘patto di fiducia’ richiamato giovedì dal presidente Mario Draghi e alla base delle sue dimissioni”, mettono nero su bianco Salvini e Berlusconi in una nota congiunta. E poi “confermano che sia da escludere la possibilità di governare ulteriormente con i 5 stelle per la loro incompetenza e la loro inaffidabilità”.
L’inquilino di Arcore e il segretario leghista “hanno concordato di attendere l’evoluzione della situazione politica, pronti comunque a sottoporsi anche a brevissima scadenza al giudizio dei cittadini”. Insomma, la strada per un Draghi bis sembra farsi sempre più stretta. Lo certifica anche il ministro dem, Andrea Orlando, che parla di “ostacoli dalla destra alla ripresa di un ragionamento sulla possibilità di proseguire” nel solco dell’unità nazionale.
L’appello del Pd è al senso di responsabilità “per evitare un salto nel vuoto”, mentre il segretario Enrico Letta vedrà i gruppi parlamentari martedì sera. E scoppia, intanto, il caso Forza Italia, alle prese con le divisioni fra governisti e filo-salviniani, dopo le parole della ministra degli Affari regionali e delle autonomie, Mariastella Gelmini, a ‘la Repubblica’, cioè “il centrodestra non ponga condizioni, nella maggioranza nessuno ponga condizioni a Draghi”.
Dura la replica del sottosegretario azzurro alla Difesa, Giorgio Mulè, che specifica: “La posizione di Forza Italia è chiarissima ed è quella espressa da Antonio Tajani: non è Forza Italia che non vuole un governo con i 5 stelle, ma è Mario Draghi che ha detto che non si può governare con loro. Quella della ministra Gelmini è una rispettabile posizione personale, non è la prima volta che si segnala per questo”.
Certo è che le parole di Gelmini pesano, perché vanno contro la linea del Cav, che fra l’altro stamani ha riunito i vertici del partito su Zoom. Il dibattito nel partito è aperto, perché gli azzurri della fronda filo-salviniana sostengono che la ministra abbia paura di rimanere senza dicastero con il timore che non venga ricandidata, soprattutto in caso di voto anticipato. Dall’altro lato, c’è da considerare il fatto che Gelmini fa da ‘megafono’ a quell’ala del partito restìa a creare la federazione con Salvini e si esprime con in testa il senso di responsabilità nei confronti del Paese.
Sulla falsariga dei commenti a caldo, dopo le dimissioni del premier Mario Draghi, dei colleghi di governo Renato Brunetta e Mara Carfagna. E in questi giorni viene segnalato come molto attivo Gianni Letta sull’area filogovernativa, che starebbe facendo pressione su Berlusconi, invece, per far restare Draghi. Nel frattempo, ha raccolto oltre 80mila sottoscrizioni la petizione per il Draghi bis di Italia viva e più di mille sindaci hanno firmato la lettera aperta rivolta all’inquilino di Palazzo Chigi perché non molli.
A sottoscrivere l’appello anche molti primi cittadini di Forza Italia, mentre la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, sbotta: “Mi chiedo se sia corretto che questi sindaci e governatori che rappresentano tutti i cittadini che amministrano, anche quelli che la pensano diversamente, usino le istituzioni così, senza pudore, come se fossero sezioni di partito. La mancanza di regole e di buonsenso nella classe dirigente in Italia comincia a fare paura”.
Senza appello la replica del senatore dem, Andrea Marcucci: “Giorgia Meloni insulta i sindaci che hanno firmato l’appello a Draghi, confermando di essere un’analfabeta istituzionale“. Se i parlamentari di FdI fanno quadrato attorno alla loro leader, i governatori del partito di destra Marco Marsilio (Abruzzo), Francesco Acquaroli (Marche) e Nello Musumeci (Sicilia) si sfilano dall’appello di ieri di Giovanni Toti e di quello dei primi cittadini: “Sono forzature che chi ricopre un ruolo istituzionale non può permettersi, né tanto meno promuovere”.(LaPresse)