“Senza che parliamo… dobbiamo andare a Napoli”: fu questa la reazione istintiva di Emanuele Libero Schiavone alla ‘stesa’ in piazza Mercato e ai proiettili esplosi contro il portone della sua abitazione di via Bologna. Era finito nel mirino del gruppo rivale, a quanto pare legato ai Bidognetti, con cui, subito dopo la sua scarcerazione, aveva deciso di iniziare una contesa per lo spaccio di droga.
I motivi della fuga
L’agguato che, stando alle ipotesi investigative, aveva organizzato per reagire al no di chi inneggia a Cicciotto ‘e mezzanotte e figlio (Gianluca Bidognetti ‘Nanà’) alla richiesta di cedergli una quota dei loro proventi ottenuti proprio dallo smercio di narcotici, fallì. Quell’insuccesso (probabilmente dovuto pure a un incidente che ebbe in moto) e il fatto che il padre capoclan, Francesco Schiavone Sandokan, in quel periodo era ancora intenzionato a collaborare con la giustizia, lo avevano messo in una posizione di estrema debolezza. E i suoi rivali, verosimilmente con l’autorizzazione degli attuali vertici bidognettiani, decisero di sfruttare quella situazione per metterlo all’angolo dandogli un messaggio chiaro: vai via o eliminiamo te e i tuoi alleati. Da qui l’esigenza di scappare. E Napoli, come detto, era l’unica via di fuga a disposizione del rampollo di casa Sandokan. Il rifugiarsi nel ‘Pallonetto’ del rione Santa Lucia non fu una scelta casuale. Si tratta di una zona storicamente controllata dagli Elia, compagine ora disgregata, ma che mai ha avuto buoni rapporti con l’Alleanza di Secondigliano, a cui, invece, sono vicini i Bidognetti e le loro giovani propaggini e che mai, quindi, avrebbe aiutato Sandokan jr. Santa Lucia è stata un’area molto frequentata da Francesco Schiavone, sia quando era un ‘soldato’ di Antonio Bardellino, sia quando ha sostituito quest’ultimo al vertice dell’organizzazione mafiosa seppellendo la ‘Nuova fratellanza’ e fondando il clan dei Casalesi. E non è da escludere che il figlio, che è stato in cella ininterrottamente per 12 anni (fino al 15 aprile scorso, per rifinirci a giugno), avesse ripreso e rinforzato quei contatti partenopei che aveva coltivato il genitore sfruttando le conoscenze fatte in prigione.
‘A Signora
Nel ‘Pallonetto’, negli anni ‘80, c’era una delle sale da gioco clandestine più imponenti della città e ogni cosca criminale aveva al suo interno una propria quota: anche Antonio Bardellino (e poi i Casalesi) ne aveva una. La chiamavano ‘A Signora’ e a fare da coordinatore di quella ‘giocata’ era Michele Elia, noto come Michele ‘e tribunali, capostipite degli Elia che negli ultimi anni hanno avuto il controllo sul Pallonetto. Inoltre era un quartiere crocevia del contrabbando nel quale il clan dei Casalesi ha avuto con costanza sue entrature e che, a quanto pare, in misura ridottissima sono rimaste ancora oggi a disposizione degli Schiavone.
Gli arresti
Emanuele Libero e il suo fidato Francesco Reccia, sanciprianese, figlio dello storico esponente del clan, Oreste Reccia (dal 2021 in cella), sono stati arrestati dai carabinieri il 15 giugno scorso proprio in un ‘basso’ del Pallonetto. Lì avevano trovato rifugio per sfuggire agli attacchi dei rivali e riorganizzarsi (sperando di poter contare su un gruppo armato di liternesi). I due, assistiti dagli avvocati Paolo Caterino e Domenico Della Gatta, sono ancora in carcere con l’accusa di essersi armati per reagire ai raid di piombo. Con il loro tempestivo arresto, i carabinieri della Compagnia di Casale, eseguendo un imponente lavoro investigativo, sono riusciti a disinnescare una potenziale faida. Lo stop alla collaborazione con la giustizia di Sandokan pure, probabilmente, frenerà eventuali future reazioni del gruppo vicino ai Bidognetti. Per quale ragione? Tentare di fare del male al figlio di un ‘pentito’ è un conto, farlo al figlio del capoclan che è ritornato a rispettare il vincolo di omertà significherebbe rischiare di innescare una nuova guerra di camorra. E le guerre, questo dice la dottrina mafiosa, fanno male ai business.