CASAPESENNA – Da garzone di Giovanni Garofalo ‘o marmular, fedelissimo del boss Michele Zagaria Capastorta, a imprenditore di successo che avrebbe garantito denaro alla cosca di Casapesenna: è il percorso – secondo l’Antimafia – compiuto da Giuseppe Diana, alias Peppe ‘o biondo. Un percorso già attenzionato dalle Procure di Firenze e Napoli e che recentemente è tornato di interesse per i possibili incroci (sui quali stanno indagando i carabinieri) con la famiglia di Ernesto Adriano Falanga, il 56enne – ora in carcere per la detenzione illegale di un’arma – che vive nella casa, in via Einaudi, di proprietà del boss Zagaria (e dei suoi fratelli), dove – lo scorso 18 febbraio – sono stati trovati due bunker e una pistola mitragliatrice.
Uno di questi ipotizzati incroci, che ha richiamato l’attenzione dei militari dell’Arma su Peppe ’o biondo, riguarda la società Mira Costruzioni, che prima di finire ad Antonio Falanga (figlio di Ernesto Adriano), era transitata per le mani di un suo conoscente e poi per quella della cognata, la consorte del fratello Raffaele Diana. Altro aspetto che stanno valutando gli investigatori è la comune parentela tra i Falanga e Diana con i germani Giovanni e Giuseppe Garofalo, i marmular.
Come detto, Peppe ‘o biondo, sostiene l’Antimafia, avrebbe percorso i suoi primi passi criminali affiancando Giovanni Garofalo. E se ne ha traccia già in svariate intercettazioni del 2009, realizzate nell’ambito dell’intensa ricerca dell’allora primula rossa Michele Zagaria (sarà arrestato – dopo 16 anni di latitanza – nel dicembre 2011 in un covo di via Mascagni, a circa 400 passi dalla casa occupata dai Falanga). Da queste conversazioni emerge che Giovanni Garofalo incaricava Diana (suo cugino) di contattare alcune persone affinché si presentassero in un posto – indicato con il nome in codice ‘la bagnarola’ – perché richieste da Zagaria, all’epoca latitante. Peppe ‘o biondo – analizzando le intercettazioni – si sarebbe anche occupato di controspionaggio per la cosca di Casapesenna, attivando in alcune occasioni il jammer per verificare eventuali presenze di microspie. Sono stati intercettati anche messaggi tra Diana e Carlo Bianco, per la Dda altro uomo di fiducia di Zagaria, incentrati sul timore di un uso non accorto dei telefoni che avrebbe potuto portare, nel febbraio 2011, agli arresti di Oreste Basco e Pasquale Pagano.
L’Antimafia, accendendo i riflettori su ‘o biondo, ha pure evidenziato come sia stato il legale rappresentante della società D.F. Group, ditta di cui in alcune occasioni si occupava Garofalo. Elemento ritenuto dagli inquirenti di supporto alla loro tesi accusatoria è anche il riferimento che in un incontro sempre Garofalo fa, parlando con Giuseppe Diana, a dei documenti nascosti in un’automobile che occorrevano “allo zio”, ovvero Michele Zagaria, in procinto di partire. Questo aspetto, secondo l’Antimafia, spingerebbe a pensare che Peppe ‘o biondo contribuiva a curare anche alcuni aspetti della latitanza del boss.
Di Diana, inoltre, hanno parlato anche alcuni collaboratori di giustizia, legandolo al business delle slot machine per conto del clan.
Le prime tracce di ‘o biondo al nord, precisamente in Emilia Romagna, dove ha poi coltivato la sua attività imprenditoriale, risalgono a ridosso della cattura di Zagaria: a raccoglierne traccia sono stati i carabinieri del Ros di Bologna. I militari apprendono che Giuseppe Diana aveva iniziato a raggiungere il territorio emiliano con molta frequenza, accompagnandosi dal fratello Raffaele, che proprio in quel periodo aveva aperto un’attività di parrucchiere a Castelfranco Emilia. In particolare, i carabinieri segnalano una riunione a cui proprio Raffaele Diana partecipa con altri soggetti tutti accomunati dal fatto di essere imparentati con Michele Zagaria.
Dal 2011 in poi, inizieranno a crescere gli interessi imprenditoriali di Giuseppe e Raffaele Diana prima in Emilia Romagna e poi in Toscana.
Peppe ‘o biondo, da qualche anno marito di Raffaella Zagaria (nipote del boss Capastorta), ora è alle prese con un processo d’appello a Napoli, già in corso, dove si sta valutando la sua condanna in primo grado per la presunta partecipazione al clan dei Casalesi, e un altro a Firenze insieme al fratello Raffaele, che ancora deve essere calendarizzato, legato all’accusa (da cui sono stati assolti in primo grado) di aver messo in piedi una rete di imprese per commettere reati di riciclaggio, false fatturazioni e trasferimento fraudolento di beni, favorendo il clan dei Casalesi. I fratelli Diana sono da considerare innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile.
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