MARCIANISE – Le recenti scarcerazioni di esponenti del clan dei Mazzacane, il suo peso criminale e le infrazioni disciplinari: è il mix che ha spinto il Tribunale di sorveglianza di Roma a confermare il 41 bis al boss Domenico Belforte.
In questo quadro, tracciato dai giudici esaminando le informative della Direzione nazionale antimafia e di quella distrettuale di Napoli, dei carabinieri e della Dia, ci sono anche delle lettere che il leader della cosca dei Mazzacane ha inviato a Luigi Landolfi, sostituto procuratore della Repubblica di Napoli, che ha dedicato molto del suo lavoro in Dda proprio a combattere le organizzazioni mafiose attive a Marcianise e dintorni.
In queste missive, Belforte, secondo la ricostruzione dei giudici, aveva augurato la morte non solo al magistrato, ma anche all’ispettore Lippiello, investigatore che ha contrastato n prima linea la cosca dei Belforte. La presenza di queste lettere è emersa in un colloquio registrato il 28 ottobre scorso tra il mafioso, in carcere a Sassari, e la nuora, Giovanna Allegratta. Quest’ultima, facendosi portavoce delle richieste del marito Camillo, invitava il suocero a non scrivere più lettere ai magistrati.
Domenico Belforte rispose alla donna pregandola di dire al figlio che lui sapeva benissimo cosa fare, chiarendo di aver scritto al pm Landolfi augurandogli del male perché, a suo dire, aveva causato un’ingiustizia alla moglie Maria Buttone. Il riferimento è alla condanna all’ergastolo della donna per la partecipazione all’assassinio di Angela Gentile, amante del boss.
Questa circostanza è stata confermata anche nel corso dell’udienza dinanzi al Tribunale di sorveglianza da Belforte. Un gesto a dir poco spregevole, che sicuramente ha messo gli investigatori ulteriormente in allerta. E se da un lato desta fisiologicamente preoccupazione, dato che si tratta di un’azione violenta, da condannare e contrastare, dall’altro dimostra che l’operato del pm e del poliziotto ha ottenuto risultati così rilevanti da spingere il boss a esplicitare la sua rabbia
La vicenda delle lettere, hanno chiarito i giudici, contribuisce a dimostrare come Mimì ‘e Mazzacane “non ha mai davvero messo seriamente in discussione i valori mafiosi di riferimento”. Da qui l’esigenza di mantenerlo in un regime carcerario che gli impedisca una facile comunicazione con l’esterno, dato che potrebbe trasformarsi in un promotore della riorganizzazione del gruppo mafioso (che si starebbe attivando – come detto – come le recenti scarcerazione) che lui e il fratello Salvatore hanno diretto per decenni.
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