De Magistris contro Manfredi: “Povera Napoli”

L'ex sindaco nella redazione di Cronachedi

NAPOLI  – L’avventura da sindaco di Napoli, l’esperienza delle Regionali in Calabria e ora l’assalto al Parlamento alla testa di un nuovo progetto politico che vedrà la luce nelle prossime settimane. Luigi De Magistris, in visita alla redazione di Cronache, racconta i suoi 10 anni e 6 mesi, ci tiene a sottolineare la durata record della consiliatura, alla guida di Palazzo Santa Giacomo, traccia un solco di distanza profondo con il suo successore, Gaetano Manfredi. E annuncia la costruzione di un fronte opposto a quello che continua a chiamare ‘sistema’ e che oggi definisce anche ‘draghismo’.

Napoli ha una nuova amministrazione che pochi giorni fa ha approvato il primo Bilancio targato Manfredi. Che differenze trova tra il Consiglio col quale si è confrontato e quello che oggi si esprime sulle scelte dell’ex rettore?
Il dato più interessante è il quadro politico di riferimento di maggioranza e opposizione: la nostra è stata un’esperienza anomala e senza precedenti perché contro avevamo praticamente tutto l’arco costituzionale. Napoli per 10 anni è stata governata dal popolo, che ha conferito un mandato forte a un sindaco che non si è infilato in quell’apparato partitocratico che oggi si riconosce nel draghismo e che con noi era all’opposizione.

Sul finire della consiliatura le critiche nei suoi confronti erano feroci, oggi c’è anche chi la rimpiange. Cos’è andato storto nell’ultimo periodo del suo governo?
La pandemia ha interrotto la nostra corsa e la nostra esperienza si è appannata nel finale. Adesso, però, si è passati dalla rivoluzione alla restaurazione, con un sindaco che ha chiuso il palazzo esattamente in antitesi con l’atteggiamento aperto che ho avuto con i cittadini. Credo che nel corso degli anni Napoli sia cambiata. Siamo arrivati nel 2011 con i rifiuti al primo piano e abbiamo lasciato una città invasa dai turisti e piena di energie dopo tante, troppe mortificazioni.

Perché, però, quella che lei definisce rivoluzione si è esaurita con la fine del suo mandato?
E’ inutile nascondersi: la nostra esperienza è stata molto legata alla mia persona, nel bene e nel male. L’errore politico è stato quello di non costruire negli ultimi anni una forma di riformismo illuminato per dare continuità alla rivoluzione. Alle elezioni avremmo probabilmente perso comunque, ma non posso negare che errori ce ne sono stati. E così c’è stata una restaurazione su cui il governatore De Luca ha grande influenza. Manfredi subisce la sua figura, senza dubbio. Imita il suo atteggiamento di chiusura su ogni tema, con la conseguenza che Napoli è sempre meno sicura.

Perché?
Meno eventi, più restrizioni, le strade tornano deserte e più pericolose. E’ chiaro che il sindaco non ha un ruolo diretto sul tema della sicurezza e dei controlli. Deve avere, però, autorevolezza e carisma. Nel comitato per l’Ordine e la sicurezza, ad esempio, la voce del leader del Comune deve farsi sentire. La mia si sentiva. Se oggi c’è più attenzione per le multe agli automobilisti che ad altri temi, il sindaco deve intervenire in maniera forte.

Visione diverse, quindi, rispetto a Manfredi. Eppure in maggioranza ci sono tanti suoi ex compagni d’avventura. Che effetto le fa?
Gli esponenti dei gruppi contiani e dimaiani che sono accanto a Manfredi erano quasi tutti con noi. Il 90% dei nostri dirigenti è ancora al suo posto. In tanti hanno cercato e trovato posto in questo minestrone che non si amalgama bene. Alle Municipalità mancano ancora le giunte, è assurdo. Da Manfredi, un ex rettore, la gente si aspettava autorevolezza, ma a quanto pare non riesce a dimostrarla. Quello che mi preoccupa è che la visione della nuova giunta proprio non la vedo. Non c’è un atto che la contraddistingua, che la renda riconoscibile. Manfredi sembra una commissario, più che un sindaco. Le poche cose che dice di aver fatto e che ha inaugurato sono eredità del nostro lavoro. Per il resto si è occupato di triplicare il suo stipendio, che non è illegale ma sicuramente inopportuno. Poi ha firmato un’ordinanza sulla movida che è stata un flop e infine ha provato a caratterizzarsi vietando i panni stesi e togliendo il pallone agli scugnizzi.

A Bagnoli, appena lei è andato via, è stato trovato un accordo per azzerare il debito. Cosa c’è dietro?
Di anomalie ce ne sono davvero tante. Mai, nella storia delle istituzioni, si erano visti esponenti del governo in carica annunciare pubblicamente un aiuto per risanare i conti del Comune in caso di elezione di un determinato sindaco. Hanno dimostrato che avevo ragione sul fatto che Roma stesse strangolando i Comuni, anche nel periodo in cui Manfredi era ministro nel governo Conte 2. Le loro promesse hanno assunto i connotati di una confessione. E’ politicamente e moralmente riprovevole che alcuni parlamentari, a cominciare da Rosato, e la stessa Regione, abbiano detto di voler aiutare la città solo perché “De Magistris non c’è più”. Hanno provato a lasciarci senza viveri per metterci contro i cittadini. L’altro giorno, poi, Manfredi ha ammesso che la situazione dei Comuni è insostenibile, si sarà dimenticato che al governo c’era anche lui fino a poco tempo fa. E dopo questa operazione è stato trovato l’accordo per Bagnoli, vedo di nuovo Romeo aggirarsi intorno al Comune, vogliono privatizzare Abc e rispuntano personaggi come Enrico Cardillo, l’ex assessore al Bilancio protagonista di una stagione fallimentare. E’ strano, infine, che la stessa Corte dei Conti che ci tampinava ora sembra felice di tutto ciò che viene approvato.

Lei di ‘manine’ e ‘manone’ ha parlato spesso. Alla fine ha capito da dove venivano?
Siamo stati contrastati dai grandi partiti e dai loro notevoli poteri mediatici. Hanno provato in tutti i modi a fare in modo che l’esperienza napoletana non funzionasse. Sono stato un sindaco libero, non dovevo ogni volta subire le pressioni di partiti, correnti e correntine. Tenere fuori da quel palazzo i faccendieri è stato rivoluzionario.

Sul bando Asia protestano tutti, dai disoccupati ai precari, e in tanti hanno espresso il timore dell’influenza dei politici e dei sindacati sulle assunzioni.
Bisogna stare molto attenti. Grazie al nostro lavoro Asia è diventata un’azienda solida, capace di assumere centinaia di persone. Già nella parte finale del nostro mandato percepivo che il bando potesse diventare carne rossa per squali affamati. So bene come si facevano le assunzioni quando c’era la lottizzazione politico-sindacale. Sono sinceramente preoccupato.

Piazza Garibaldi e il suo degrado sono al centro della bufera politica. Tutti puntano sul rafforzamento dei controlli, ma non sarebbe il caso di andare ad ascoltare il disagio sociale che c’è alla base del disastro del Vasto, oppure c’è un’altra strada?
Su questo con me sfonda una porta aperta. Siamo stati criticati perché abbiamo ascoltato anche chi, secondo molti, non andava preso in considerazione come avvenuto nel caso dell’abbattimento delle Vele. A piazza Garibaldi abbiamo operato una straordinaria riqualificazione, c’erano pronti progetti per gestire in maniera diversa i mercati, per coinvolgere i comitati civici e le comunità di migranti. A me sembra, da osservatore, che per l’amministrazione in carica l’ascolto non sia una priorità. Se, però, le decisioni vengono calate dall’alto non sono efficaci e creano nuovo conflitto sociale. Il problema è sempre lo stesso: manca una visione. Le faccio un altro esempio.

Prego.
L’episodio del documento per vietare i panni stesi, che è un timbro dal quale Manfredi difficilmente si libererà, è molto grave perché secondo me non era nelle intenzioni del sindaco. Con me non sarebbe accaduto perché un funzionario, sapendo come la penso, non avrebbe mai inserito una frase del genere. Se, invece, la visione da parte di un sindaco non è chiara, un episodio simile può capitare. C’è confusione, nella terza città d’Italia non c’è un assessore alla Cultura. Non c’è alcun entusiasmo. Manfredi è un ‘draghino’ locale, e c’è De Luca che soffre molto Napoli. Un combinato disposto, con la città che non si rialza, che è molto gradito a chi governa a Roma.

A proposito di Roma, sabato ci andrà per presentare il suo nuovo progetto politico?
Stiamo costruendo un fronte che metterà insieme storie credibili. Vogliamo mettere insieme persone che hanno dimostrato con la loro vita da che parte stanno nel sociale, nella difesa dell’ambiente, nella lotta per la pace, nella sfida alla criminalità, nell’attuare la Costituzione. C’è una Sinistra che ormai in Parlamento quasi non esiste visto che il Pd, come ho sempre pensato, è solo un partito di centro. In troppi non si sentono rappresentati e c’è un astenuto su due. In questo scenario noi non abbiamo un campo largo, abbiamo un campo aperto. Dobbiamo evitare formule asfittiche, estremistiche, somme di partitini e simbolini. A settembre sceglieremo un nome nuovo, un po’ come avvenuto con La France Insoumise e Podemos. Sabato faremo parlare operai, contadini, studenti, ambientalisti, pacifisti, tutti quei settori che riteniamo oggi non siano adeguatamente rappresentati. Sarà l’unione dei non allineati contro il draghismo. Di conseguenza non possiamo allearci con chi lo sostiene. Ci sarebbe qualcuno che potrebbe smarcarsi, ma non credo lo farà.

A chi si riferisce?
A Giuseppe Conte. E’ l’unico che potrebbe in qualche modo imboccare una strada diversa, ma non lo farà perché in questi anni ha scelto di essere un uomo del sistema.

E Roberto Fico, con il quale lei ha sempre avuto un ottimo rapporto?
I rapporti sono ancora buoni, ma ha fatto scelte diverse. Ha sempre parlato di acqua pubblica, e invece ora sta approvando con il suo movimento il Ddl concorrenza che la privatizza. E’ l’esponente del mondo 5 Stelle che mi ha più deluso. E’ un uomo che viene da un percorso di ambientalismo, di sinistra, con il quale avremmo dovuto trovare una convergenza naturale. Invece siede al tavolo degli inciuci col Pd e con Manfredi, sembra un politico della Prima Repubblica. Da Di Maio invece sono sempre stato lontano, anche se sono sbalordito dal modo in cui ha rinnegato tutto ciò che ha sostenuto per anni.

Se Conte la seguisse, però, dovrebbe azzerare il Movimento 5 Stelle.
L’ex premier potrebbe avere una chance, ma dovrebbe avere il coraggio di rompere con Draghi e col Pd, tirandosi fuori dal sistema. In quel caso potrebbe essere un interlocutore del campo aperto. Ma non lo farà. Credo che l’accordo tra lui e i dem sui collegi al Sud sia già fatto.

Che elezioni si aspetta?
Con la legge in vigore, che difficilmente sarà modificata, ci saranno tre gruppi. Calenda, Toti, Renzi, Berlusconi, Di Maio, Letta e credo anche Conte alla fine, oltre a un pezzo di Lega si stanno collocando al centro, poi ci sarà una destra rappresentata da Fratelli d’Italia e un campo alternativo come il nostro che guarda a sinistra.

Lei sarà il frontman?
Non è un partito personale, voglio che sia chiaro. Mi candiderò, naturalmente, e sarò il garante di questo schieramento.

Per l’occasione riallaccerà anche i nodi dei rapporti con i casertani di Speranza?
In passato abbiamo fatto cose interessanti insieme, adesso stiamo riannodando i fili così come in tutta Italia. Ci proporremo in maniera forte al Sud, che sarà al centro del nostro progetto, ma anche al Nord dove anche in passato hanno saputo premiare chi ha dimostrato coerenza.


Riuscirà nella missione impossibile di mettere insieme la frastagliata Sinistra che va da Bersani a Potere al Popolo?
L’idea è quella, credo che a livello nazionale possiamo riuscirci, rinunciando ai simboli. Quando partiremo e avremo dimostrato credibilità ci affiancheranno anche nomi noti. Sabato con noi ci saranno le parlamentari di Manifesta che stanno costruendo questo percorso insieme a noi. Tra loro ci sono anche le napoletane Paola Nugnes e Doriana Sarli. Stiamo dialogando anche con altri parlamentari, indipendentemente dalla loro futura candidatura. Sono curioso, infine, di vedere cosa deciderà di fare Alessandro Di Battista. C’è un vuoto enorme, il nostro fronte alternativo proverà a rispondere a questo bisogno di rappresentanza anche nel dibattito sull’atlantismo, che con la guerra è diventato centrale.

La successione mancata e l’avversario di sempre:
“Clemente mi ha deluso, De Luca soffre il capoluogo”

NAPOLI (gp) – Vincenzo De Luca e Alessandra Clemente, il grande avversario e la donna che doveva raccogliere il testimone a Palazzo San Giacomo. Luigi De Magistris, nel corso della sua visita alla redazione di Cronache, ha sviscerato due relazioni critiche del suo recente passato politico. E le note critiche, in entrambi i casi, non mancano. “De Luca nel corso degli anni ha attaccato tutti, senza risparmiare gli esponenti del suo partito. Chiaramente siamo entrati spesso in conflitto, ma con lui ho cercato sempre di porgere l’altra guancia e di tenere distinto l’aspetto politico e quello personale e istituzionale. Purtroppo è stato impossibile. Ha operato scientemente per danneggiare la città. Lo vedevo soffrire molto quando Napoli ha vissuto la grande ripresa turistica. La sua immagine tipica – spiega De Magistris – è quella del lanciafiamme, del greve, del tiranno che è emersa in pandemia e naturalmente il contraltare della città esplosiva, piena di eventi culturali, energia e sorrisi è in antitesi con il suo atteggiamento. Inoltre ha fatto di tutto per riequilibrare tutto tra Napoli e Salerno, a cominciare dai porti e dagli aeroporti per finire ai grandi eventi. Personalmente amo molto Salerno, così come tutto il Sud, ma lui mi ha sempre dato la sensazione di voler togliere a Napoli il ruolo di città traino del Mezzogiorno. Quando ci sono state le Universiadi aveva intenzione di spostare a Salerno l’evento principale quando gli organizzatori avevano scelto Napoli. Non ci è riuscito, ma avverte in maniera nitida il fatto che non ha un legame profondo con la nostra città”. Lo Sceriffo salernitano che al capoluogo partenopeo non ha mai risparmiato stilettate al veleno ha trovato, però, un punto in comune con quella che doveva essere l’erede della ‘rivoluzione arancione’. Gli ex 5 Stelle, ora dimaiani, ormai governano a braccetto con la maggioranza deluchiana in Regione. E anche Alessandra Clemente, in occasione del voto per la Città metropolitana ha votato per i grillini, quando la scissione dell’inquilino della Farnesina non aveva ancora vissuto lo strappo definitivo. Una scelta, l’ennesima, che ha segnato un progressivo e inesorabile distacco da De Magistris. “Ero molto convinto, all’inizio, della decisione di puntare su Alessandra come sindaco, di lanciare una giovane donna, con alle spalle una storia importante. Nonostante non tutti fossero contenti della scelta, ci ho creduto molto ma poi non è riuscita ad allargare la coalizione e il consenso. Oggi non posso fare a meno di notare il suo riposizionamento. Leader e la capacità di rappresentare un punto di riferimento non si acquista al mercato. I rapporti con lei sono buoni, ma politicamente sono deluso – confessa l’ex primo cittadino napoletano – In politica c’è un sentimento poco comune che è la gratitudine. Io la provo per i miei maestri, per mio padre, per coloro che mi hanno dato opportunità e autonomia. Forse Alessandra, dopo le elezioni, ha pensato di dover valutare come ricollocarsi politicamente. E secondo me è un errore. Coerenza e credibilità pagano, oppure alla fine si diventa uno tra i tanti. Scegliere una direzione chiara e rispettare la linea che si rappresenta può portare anche a sconfitte elettorali ma aiuta a conquistare il rispetto delle persone e persino degli avversari. Quando, invece, si sceglie di saltare da una parte all’altra, l’effetto che si ottiene, a lungo andare, è completamente diverso”. Nell’attuale amministrazione guidata da Gaetano Manfredi c’è un assessore che in passato è stato protagonisti dei 10 anni targati Dema, come Ciro Borriello, oltre a una folta pattuglia di ‘arancioni’ che ora puntellano la maggioranza a sostegno dell’ex rettore della Federico II. La diaspora ‘arancione’, però, non è stata totale. A seguire De Magistris nel suo nuovo percorso politico nazionale non mancano vecchi compagni di viaggio: “Stiamo lavorando intensamente con Carmine Piscopo, Rosaria Galiero, Donatella Chiodo, Giovanni Pagano e tanti altri. Alessandra Clemente per ora ha preso una sua strada, ma non ci sono limiti alla provvidenza. Il nostro è un campo aperto, non ci sono steccati e mura nei confronti di chi non fa parte del sistema. Se ci sono stati degli sbandamenti, però, andranno spiegati. Non rinnego la scelta di Alessandra, o quella di Eleonora De Majo (ex assessore alla Cultura ndr) con cui c’è stato qualche problema. E’ bello e importante puntare sui giovani. Sono dell’idea che se questo progetto partirà bene incontreremo di nuovo tante persone. Alcune, invece, bisognerà tenerle fuori perché sbagliare è umano ma perseverare è diabolico”.

Dieci anni di luci e rimpianti:
“Le liste del 2016 e l’idea Ingroia gli errori più gravi”

NAPOLI (gp) – ‘Attraverso Napoli, dieci anni di passione’. Il libro di Luigi De Magistris racconta ciò che è stato, provando a non nascondere luci e ombre di una avventura amministrativa lunga e complessa. E nel corso della sua intervista a ‘Cronache’ l’ex inquilino di Palazzo San Giacomo ha elencato anche i suoi errori e rimpianti politici. Tutti, in fondo, devono in qualche modo fare i conti con il ‘se potessi tornare indietro’, pur mantenendo lo sguardo verso l’orizzonte. “Il primo grande errore l’ho commesso nel 2013, quando diedi l’impressione di sostenere l’esperienza politica nazionale di Ingroia. Questo fece percepire ai napoletani una mia distrazione e non è stato un bel momento. Ma non certo è l’unico sbaglio. Il secondo – spiega De Magistris – l’ho commesso verso la fine della seconda consiliatura, quando avremmo dovuto costruire meglio il dopo, provando a sganciare il nostro movimento dalla mia presenza fortemente ingombrante. Avrei dovuto essere più attento, perché è chiaro che molti di coloro che sono stati eletti nel 2016 nelle mie liste hanno da subito cominciato a cercare uno spazio da occupare altrove. Anche nella scelta degli assessori e dei più stretti collaboratori sono stati commessi degli sbagli. Avremmo dovuto tenere fuori determinate persone e sigle politiche, avremmo vinto ugualmente le elezioni. Purtroppo ho pagato la mancata esperienza e il non aver creato un’organizzazione politica forte. E questo ci ha fatti finire dritti nella restaurazione”. Dell’ex pubblico ministero di Catanzaro si è detto che non ha mai ammesso di aver fatto degli sbagli nel corso della sua avventura alla guida di Palazzo San Giacomo. Non è così e nel suo libro e nelle interviste sta rielaborando l’esperienza decennale con la fascia tricolore sulle spalle. Con i suoi successi, ma soprattutto con le, sue cadute che nella gestione politica e amministrativa non sono certo mancate. La veste di scrittore sta per essere di nuovo temporaneamente abbandonata, però, perché ha voglia di indossare di nuovo i panni del leader politico. Guardando al presente, al futuro, a nuove idee. Senza dimenticare niente. A cominciare dagli errori.

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