Roma, 7 mag. (LaPresse)
– À la guerre comme à la guerre. È questo il grido di battaglia del Movimento 5 Stelle, che da oggi si definisce “in campagna elettorale”. Per i pentastellati non esistono governi neutrali, di servizio o di garanzia: “L’unica strada è il ritorno al voto”. Il capo politico, Luigi Di Maio, ha provato fino all’ultimo minuto a convincere Matteo Salvini a mollare Silvio Berlusconi, offrendo addirittura la sua premiership in cambio di un accordo. Anzi, della stipula dell’ormai famigerato ‘contratto alla tedesca’ sui temi. Lo ha ribadito anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ben sapendo che dalla controparte sarebbe arrivato un ‘no, grazie’. Spente le fiammelle dei forni governativi, in casa Cinquestelle è ricominciata la ‘lotta’, con tanto di “pernacchie” promesse al leader della Lega, qualora il Cav e la sua Forza Italia dovessero lasciarlo in tronco per appoggiare l’esecutivo che il capo dello Stato si appresta a varare.
L’ultimo sussulto di istituzionalità del leader M5S è l’assicurazione alla responsabilità sul prossimo Documento di programmazione economica e finanziaria (Def). Perché non sterilizzare le clausole di salvaguardia, facendo schizzare l’Iva di colpo, sarebbe una mossa controproducente per tutti, soprattutto per chi è convinto, come Di Maio, che il suo Movimento possa arrivare al 40% da solo. Oltretutto con le stesse liste già presentate il 4 marzo, esclusi gli espulsi per non aver ottemperato alla restituzione degli stipendi e i massoni. Anche se, precisa, l’ultima parola spetterà sempre al garante, Beppe Grillo, sebbene da fonti autorevoli fanno sapere che il co-fondatore non sarebbe contrario. Il comico avrà nelle sue mani non solo il destino dei parlamentari uscenti (al primo e secondo mandato), ma pure quelle del candidato premier, che a domanda se sarà lui a correre per Palazzo Chigi, risponde con un onesto “mi auguro di sì”. Perché lo ‘spettro’ del ritorno di Alessandro Di Battista era tornato ad aleggiare sul gruppo dirigente dei gialli e, forse, qualche timore lo ha creato.
Prima che tutte queste variabili trovino conferma nella realtà dei fatti, bisogna che si verifichi una opzione: il naufragio totale del “governo neutrale” voluto da Mattarella, con un ampio voto di sfiducia in Parlamento. Solo in quel caso, ragionano nel Movimento 5 Stelle, il Quirinale potrebbe convincersi che l’unica strada per uscire dalla crisi è il ritorno alle urne a stretto giro di posta. Condizione, questa, indispensabile per i pentastellati, per i quali l’ipotesi che un esecutivo tecnico possa arrivare a fine anno viene vissuta come un serio pericolo per la tenuta delle truppe. Nelle pause tra una consultazione e l’altra alcuni parlamentari alla prima esperienza si sono lasciati scappare alcune delle loro paure, prima tra tutte quelle di affrontare i collegi uninominali senza i ‘veterani’, ingabbiati dalla regola dei 2 mandati. Sono loro, infatti, i volti noti, quelli che attraggono e catalizzano i voti degli italiani. Le new entry non credono fino in fondo alla possibilità di reggere il peso e la responsabilità di guidare collegi non avendo avuto l’occasione di dimostrare sul campo (e mediaticamente) il loro valore.
Un’altra preoccupazione è quella legata ai calcoli sulle prime date utili per il ritorno alle urne. Nonostante Di Maio indichi l’8 luglio, tutti sanno che tecnicamente è impossibile allestire consultazioni in tempo. Oltretutto, il governo voluto da Mattarella prenderebbe altro tempo, spostando ancora più in là le finestre elettorali. In pratica, se voto dovrà essere, non sarebbe mai prima della fine di luglio, con un Parlamento che dovrebbe entrare in servizio a Ferragosto. Un rischio, oltre che un inedito per la storia repubblicana. Tanto che qualcuno ‘maledice’ ancora la legge elettorale: “Lo sapevo che con il ‘Rosatellum’ ci stavano fregando, l’ho scritto anche su Facebook a febbraio, e ci fregheranno ancora”. Perché il timore che anche al prossimo giro lo stallo possa ripresentarsi esiste e fa paura. Nonostante qualcuno della vecchia guardia, off the record, mostri una convinzione granitica: “Il gruppo è forte e compatto, stavolta li asfaltiamo”.
di Dario Borriello