MILANO – “Dal presidente Draghi ci aspettiamo una svolta che non c’è ancora. Ci aspettiamo quel coraggio responsabile con cui nel 2012 salvò l’Unione monetaria europea, dichiarando il famoso ‘whatever it takes’ (fare tutto ciò che è necessario, ndr). Ma questa volta deve farlo per salvare le nostre imprese. Che poi vuol dire salvare l’Italia”. Così il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli in un’intervista al Corriere della Sera.
“Per trovare un anno peggiore del 2020 bisogna risalire più o meno al 1944”, spiega Sangalli, “Quando incontro i nostri imprenditori e ascolto numeri e bilanci disastrosi, mi sembra che la distanza tra noi e la lentezza e poca efficacia delle azioni fin qui intraprese si faccia siderale”, “tutti mi dicono la stessa cosa: le chiusure senza indennizzi adeguati non le reggiamo più. Ecco perché i nostri imprenditori, tutti gli imprenditori, si aspettano non solo un più robusto sostegno in tempo zero, ma anche la prospettiva di un ritorno alla normalità perché altrimenti non-ce-la-si-fa. Il sistema imprenditoriale non regge più”.
Nel decreto Sostegni “È stato archiviato il meccanismo dei codici Ateco e sono stati stanziati per questi interventi circa 11 miliardi di euro, sui 32 mobilitati dal decreto. Ma i soggetti interessati alla fine sono circa tre milioni. In questo modo l’indennizzo medio è di circa 3.700 euro”, dice ancora Sangalli, “Non ci siamo. Il rischio è la chiusura di circa 300 mila imprese del terziario e circa 200 mila partite Iva”.
“Servono indennizzi più adeguati, più inclusivi e più tempestivi. E poi c’è un problema legato ai costi per le imprese rimaste chiuse: dalle locazioni ai finanziamenti. Chiediamo che possano essere sospesi, almeno fino a quando le imprese non potranno ripartire in piena normalità”, aggiunge il presidente di Confcommercio, “Insieme con l’Abi e le altre associazioni abbiamo chiesto alle istituzioni europee e italiane la proroga delle moratorie in essere e l’introduzione di nuove, nonché una durata dei prestiti con garanzia pubblica di non meno di quindici anni. E senza che tutto ciò comporti classificazioni critiche o addirittura un default dei debitori”.
(LaPresse)