ROMA – La domanda è di quelle ricorrenti: “Accetterebbe un secondo mandato a palazzo Chigi?” chiedono i cronisti. La risposta di Mario Draghi è, ancora una volta, di quelle definitive: “No”. La risata che viene dopo, sta lì a sottolineare che, nonostante il passare del tempo e il moltiplicarsi, tra i leader di partito, di chi lo vorrebbe ancora in campo, lui non intende cambiare idea.
Il premier ha al suo fianco l’amico di sempre Daniele Franco e il titolare del Mite, Roberto Cingolani. Il Governo ha appena approvato “senza alcuno scostamento di bilancio” un decreto da 14 miliardi e l’inquilino di palazzo Chigi, che lunedì partirà alla volta di New York per partecipare all’assemblea delle Nazioni unite, incontra i giornalisti con lo spirito di chi vuole da un lato tracciare il bilancio di quanto fatto e, dall’altro, togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Intanto sui conti e sul Pnrr. “Non c’è motivo” di discostarsi dalla rotta seguita sin qui sulla finanza pubblica. “Crescita e equilibrio dei conti”, la ricetta indicata dal premier che insiste sull’importanza di portare avanti le riforme. “E’ questo l’ambiente favorevole alla crescita. La crescita non la fanno i governi, la crescita la fanno gli italiani”, sottolinea. Quanto alla possibilità di rivedere il Pnrr, Draghi taglia corto: “E’ un tema di campagna elettorale. Si può rivedere cosa non è stato bandito ed è stato bandito quasi tutto. Suggerirei di affrontare la questione non come un fatto ideologico ma come un fatto pragmatico”.
Ci sono poi i distinguo in più occasioni arrivati dai partiti sui singoli dossier. L’ultimo no è quello scandito in Cdm dai ministri del Carroccio al decreto legislativo di attuazione della concorrenza, che prevede la mappatura delle concessioni statali. L’ex numero uno Bce non va tanto per il sottile: “La dichiarazione del ministro della Lega Garavaglia è stata di disaccordo non nel merito ma nel metodo, voleva farla approvare dopo le elezioni. Questo è un metodo che questo Governo qui non capisce molto”, taglia corto. E ribadisce la linea seguita dall’insediamento ad oggi: “Ci sono bisogni cittadini e risposte da dare quando son pronte. Se no si arriva a non far niente. Se avessimo dovuto aspettare le elezioni regionali, comunali, ogni sussurro della politica… questo sarebbe stato il fallimento di questo governo, che è stato creato per fare non per stare”.
Per questo Draghi non ha apprezzato l’affossamento in Senato della delega fiscale: C’era un accordo con tutte le forze politiche all’inizio di agosto, per votare la delega fiscale il 7 settembre. In questo accordo il governo si è impegnato a non scrivere i decreti delegati fino alla data delle elezioni. Il governo ha mantenuto la sua parola; tra tutte le forze politiche, una non ha mantenuto la parola e non l’ha votata”, racconta. Di più. “Quello di non mantenere la parola data non è il metodo di questo governo. La differenza è tra chi la mantiene e chi non la mantiene”, la sottolineatura.
Il riferimento è ancora una volta al Carroccio, che non ha votato la calendarizzazione del provvedimento nella conferenza dei capigruppo di palazzo Madama della settimana scorsa. Il passaggio in terza lettura del decreto Aiuti bis, però, crea una nuova occasione. “Ho sentito la presidente del Senato Casellati. Mi ha detto che riunirà i capigruppo – rivela – ancora un filo di speranza c’è. Se non si dovesse trovare l’accordo si va in aula e si vota”, spiega. E il messaggio ai partiti è chiaro: ognuno si assumerà le sue responsabilità.
E’ sul fronte internazionale, però, che il premier usa i toni più duri. Intanto sul fronte Ucraina. “Primo: le sanzioni funzionano”, scandisce, quasi a voler mettere a tacere le eccezioni sollevate nefli ultimi tempi da Matteo Salvini. Draghi poi lo dice chiaro: “All’interno del centrodestra ci sono tanti punti di vista. Il parere di Salvini prevarrà su quello di Berlusconi e Meloni? É una visione che il Governo non condivide”, taglia corto. E in un passaggio, pur senza mai nominare il leader del Carroccio, la mette giù dura: Non condivido questa visione sempre negativa: c’è il Pnrr che non funziona? No, funziona. C’è quello che ama i russi alla follia e vuol togliere le sanzioni e parla tutti i giorni di nascosto con i russi.. c’è, c’è pure lui, ma c’è tanta gente che non lo fa, cioè la maggioranza degli italiani non lo fa e non vuole farlo. Io guardo alla maggioranza degli italiani e al governo che ho avuto l’onore di presiedere”.
Non solo Salvini però. Draghi non ha gradito nemmeno alcune prese di posizione di Giuseppe Conte. “Sull’Ucraina e l’invio di armi non si può votare per le armi e poi dire no, inorgoglirsi per l’avanzata ucraina quando si è votato contro l’invio di armi, si voleva che si difendessero a mani nude?”. E parlando del futuro dà un giudizio sul passato. “Nei rapporti internazionali c’è da essere trasparenti, ci vuole coerenza, non capovolgimenti e giravolte. Questo fa il prestigio internazionale di un Paese, la mancanza di coerenza a trasparenza indebolisce un Paese”, sentenzia.
C’è un messaggio anche per Giorgia Meloni. Noi abbiamo “una diversa idea di Europa”, rispetto a quella di Viktor Orban “difendiamo lo Stato di diritto, i nostri alleati sono la Germania, la Francia che difendono lo stato di diritto. C’è da domandarsi come uno si sceglie i partner? Certamente sulla base di una comunanza ideologica ma anche sulla base della tutela degli interessi degli italiani. Bisogna chiedersi chi mi aiuta a proteggere gli italiani meglio? – chiede retorico – Chi conta di più tra questi partner? Datevi voi le risposte”.
Le parole di Draghi, in ogni caso, diventano subito materia di campagna elettorale. “Con il no di Draghi a qualsiasi proposta di Draghi Bis, ora è ancora più chiaro: la proposta di Calenda e Renzi non esiste. Se non nel loro suggestivo mondo immaginario”, cercano di capitalizzare al Nazareno. “Adesso precipiteranno nello sconforto tutti coloro che hanno come unico programma un’agenda Draghi e un metodo Draghi.
L’interessato non la vuole scrivere, l’aveva già detto, lo conferma: non è disponibile. Che cosa faranno?”, ironizza il presidente del M5S, Giuseppe Conte. “La nostra proposta rimane la stessa governo di unità nazionale con Agenda Draghi e possibilmente con Draghi stesso, che altro non poteva dire come è ovvio – replicano dalle parti di Azione – Non si capisce invece con chi voglia governare Letta. Non con i suoi alleati, non con i 5S. Quello al PD è un voto buttato proprio perché non è in grado di fare una proposta di governo al Paese”.(LaPresse)