NAPOLI – Sei persone condotte dietro le sbarre, due ai domiciliari, in tutto dodici indagati. L’accusa: aver messo su un’organizzazione dedita all’introduzione di telefoni cellulari e droga – merce poi rivenduta ad altri detenuti – nel carcere di Poggioreale. E’ la sintesi dell’inchiesta culminata nel blitz eseguito ieri mattina dai carabinieri del nucleo investigativo del gruppo di Castello di Cisterna, che hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Napoli Valentina Giovanniello su richiesta della Procura della Repubblica del capoluogo. Otto i destinatari del provvedimento, ritenuti gravemente indiziati, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere finalizzata all’accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti e corruzione.
L’attività investigativa, svolta dal giugno 2021 al gennaio di quest’anno, ha consentito di delineare l’esistenza di un’associazione per delinquere, radicata nel capoluogo partenopeo, finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti e specificamente, l’introduzione illegale di telefoni cellulari e sostanze stupefacenti all’interno della casa circondariale di Poggioreale. E proprio in carcere ieri mattina sono stati trasferiti Massimiliano Murolo, 42enne dei Quartieri Spagnoli, sua moglie Sonia Guillari, 47enne, Nicola Donzelli, 36enne del rione Berlingieri di Secondigliano, Antonio De Maria, 33enne dei Ponti Rossi e Vincenzo Castello, 38enne di Pianura. Per Maria Cardamone Maresca, 33 anni a novembre, e Grazia Pages, 54enne di Casavatore (moglie di un uomo in passato indicato vicino al clan Di Lauro), disposti gli arresti domiciliari. Indagati a piede libero Sharon Tasseri, moglie di De Maria, Ciro ed Emanuele Donzelli, rispettivamente padre e fratello di Nicola Donzelli, e Giuseppina Vittozzi. Tra i partecipanti al presunto sodalizio, figura anche Pietro Ioia, garante dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale del Comune di Napoli, in carica fino a ieri mattina, il quale, avvalendosi del suo ruolo, che gli consentiva libero accesso all’interno delle carceri, secondo gli inquirenti vi introduceva, previo compenso, dispositivi di telefonia mobile e sostanza stupefacente. Per Ioia si sono aperte le porte del carcere. In particolare, la Procura sostiene che il funzionamento dell’organizzazione criminale prevedeva che la compagna di uno dei promotori, per il tramite di Ioia, facesse recapitare ai detenuti, partecipi dell’associazione, apparati di telefonia mobile e sostanza stupefacente di vario genere (soprattutto hashish e cocaina) che, di conseguenza, venivano venduti alle altre persone recluse, creando un vero e proprio commercio illegale. Il denaro veniva poi versato su alcune carte ricaricabili in uso a una donna e poi diviso con gli altri sodali dell’organizzazione. Le indagini hanno evidenziato l’esistenza di un dilagante fenomeno di spaccio di sostanze stupefacenti, del valore economico di diverse migliaia di euro, all’interno dell’istituto penitenziario. La direzione del carcere di Poggioreale e la polizia penitenziaria hanno prestato la loro collaborazione alle indagini nella fase di osservazione dei colloqui.
Pietro Ioia in carcere: al garante dei detenuti spettavano le consegne
NAPOLI – Sempre in prima linea, sempre al fianco dei detenuti. A tutte le ore del giorno e della notte, sacrificando anche i suoi affetti personali. Un punto di riferimento per i reclusi e per le famiglie degli stessi. Una figura così importante per il pianeta carceri da indurre, nel 2019, l’allora sindaco di Napoli Luigi De Magistris ad affidargli l’incarico (contestatissimo) di garante dei detenuti per il Comune di Napoli, un unicum in Italia, impegno che si è meritato con la sue denunce e la sua redenzione, lui che era stato in grado di lasciarsi alle spalle una vita da narcotrafficante di primo livello della mala napoletana. Da ieri mattina Pietro Ioia si trova nel carcere di Poggioreale, quello stesso carcere che ha denunciato portando alla luce l’esistenza della ‘cella zero’, la stanza in cui i detenuti venivano picchiati a sangue dai poliziotti della penitenziaria. La ‘cella zero’ è poi diventata un libro, un film e un processo, mentre Ioia portava ovunque la sua voce e i suoi racconti. Sessantadue anni di cui 22 vissuti a scontare condanne in 20 istituti penitenziari italiani, un passato da narcos di spessore, Ioia è accusato di quale partecipe incaricato di aver preso parto al sodalizio in qualità di incaricato delle attività di introduzione, dietro compenso, di dispositivi di telefonia mobile e sostanze stupefacenti all’interno del carcere avvalendosi proprio del suo ruolo formale di garante comunale dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale, e della conseguente facoltà di visita alle strutture penitenziarie e di incontro con i detenuti per svolgere un ruolo di assistenza agli stessi. Non appena in mattinata si è diffusa la notizia del blitz e dell’arresto di Ioia, il Comune di Napoli ne ha preso subito le distanze: “Alla luce dell’inchiesta giudiziaria, che vede coinvolto il garante dei detenuti del Comune di Napoli, nominato dalla precedente giunta, l’amministrazione sta predisponendo gli opportuni provvedimenti di revoca”, si legge in un comunicato. A Ioia, la Procura contesta numerosi episodi. Avrebbe agito in concorso a turno con la moglie Giuseppina Vittozzi (indagata a piede libero), con Massimiliano Murolo, Sonia Guillari, Vincenzo Castello, Grazia Pages, Antonio De Maria, Nicola Donzelli, Maria Maresca Cardamone. Secondo gli inquirenti, Ioia incontrava i parenti dei detenuti e da loro riceveva cellulari e stupefacenti, per poi mettere piede nel carcere di Poggioreale e consegnare i prodotti durante i colloqui con i reclusi dietro compenso economico, con la tariffa che ammontava, in media, a 600 euro. A tradirlo sono state, oltre alle intercettazioni telefoniche captate con il ‘trojan’, le telecamere del sistema di videosorveglianza interno alla casa circondariale. In alcuni casi, i filmati raccontano, frame dopo frame, le consegne di Ioia. O, meglio, dell’avvocato, come veniva indicato dai presunti sodali. E già, perché dalle intercettazioni è emerso che il gruppo usava un linguaggio cifrato: l’avvocato, appunto, era Pietro Ioia, che si recava in ‘albergo’, il carcere, per portare ‘documentazioni’, la droga, ‘completini’, ‘casatielli’ e cosarielli’, ovvero i cellulari. Poche ore prima di essere arrestato, lunedì pomeriggio, Ioia era nella sede del Consiglio regionale per presenziare all’assemblea dei garanti insieme agli ex colleghi Emanuela Belcuore e Samuele Ciambriello. Ieri mattina il risveglio amaro.
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