CARACAS – In Venezuela Guaidò (clicca qui per leggere) si autoproclama presidente, in attesa di nuove elezioni, davanti alla folla e nel capoluogo scoppiano gli scontri. Sono infatti almeno 16 i morti nella repressione messa in atto dalla polizia e dai militari contro le proteste antigovernative in Venezuela. Lo riferisce l’ong Observatorio Venezolano de Conflictos Sociales y de Provea su Twitter. Dall’inizio delle proteste contro Nicolas Maduro, lunedì scorso, sono stati 218 i manifestanti arrestati, secondo quanto riporta El Mundo. Il bilancio dei morti rischia di crescere perché oggi si temono nuovi scontri.
Il proclama di Maduro
Il popolo ‘agguerrito e combattente’ rimanga in allerta, pronto alla mobilitazione per difendere la patria, avverte intanto Maduro: “Nessun colpo di stato, nessun interventismo il Venezuela vuole la pace”.
Padrino Lopez
Il ministro della Difesa venezuelano, generale Vladimir Padrino Lopez, ha dichiarato in un tweet che le Forze Armate del suo paese “non accettano un presidente imposto da oscuri interessi o che si è autoproclamato a margine della legge – confermando il suo appoggio a Nicolas Maduro”.
La disperazione e l’intolleranza stanno aggredendo la pace della Nazione, ha sottolineato Padrino Lopez, secondo il quale “i soldati della Patria non accettano la presidenza di Guaidò perché le Forze Armate difendono la nostra Costituzione e sono garanti della sovranità nazionale”.
Il sostegno Usa
Sono decine di migliaia le persone che ascoltano il capo dell’opposizione e leader dell’Assemblea nazionale Guaidò giurare sulla costituzione, autoproclamandosi presidente ad interim fino a che non ci saranno nuove elezioni democratiche. Passano pochissimi minuti e dalla Casa Bianca arriva l’atteso riconoscimento ufficiale nei confronti di Guaidò: “Nicolas Maduro e il suo regime sono illegittimi – afferma Trump – e il popolo del Venezuela ha fatto sentire con coraggio la sua voce chiedendo libertà e rispetto della legge”.
La risposta non si è fatta attendere, con Maduro che parlando dal balcone a una folla di sostenitori annuncia la rottura delle relazioni diplomatiche con gli Usa, dando ai diplomatici americani 72 ore di tempo per lasciare il Paese. “Ci difenderemo a ogni costo – promette”, mentre da Washington il tycoon ricorda come tutte le opzioni sono sul tavolo.
Una mossa annunciata quella di Trump: da sempre il presidente americano considera Maduro un usurpatore e un dittatore, mentre il presidente dell’Assemblea nazionale autoproclamatosi leader rappresenta per Washington l’unica figura legittimamente eletta dopo le contestate elezioni politiche nel Paese. Per questo l’amministrazione Usa ha lanciato un appello a tutte le capitali occidentali affinché seguano il suo esempio.
L’appoggio del Canada e il no di Messico e Bolivia
Il primo a farlo è stato il Canada di Justin Turdeau, seguito da larga parte dei latinoamericani, anche se in soccorso di Maduro arrivano il Messico e la Bolivia.
I quartieri allo sfinimento
“Gli occhi del mondo sono tutti puntati su di noi”, in rivolta contro Maduro sono soprattutto i quartieri operai di Caracas, quelli che una volta lo sostenevano e che ora, ridotti allo sfinimento da una crisi economica senza fine, si schierano invece col giovane ingegnere industriale di 35 anni, sempre più popolare soprattutto da quando l’ex pupillo di Chavez ha strappato ogni potere proprio all’Assemblea nazionale, nel tentativo di stroncare la sommossa. Assemblea che però è riconosciuta dalla comunità internazionale, così come Guaidò ancor prima che da Trump è stato riconosciuto dal neo presidente del Brasile Jair Bolsonaro. Intanto dal Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, a New York, parte l’appello a fermare ogni violenza.