Lui è uno dei più grandi chitarristi contemporanei. Si chiama Bireli Lagrene, è nato in una comunità gitana in Francia e viene considerato l’erede legittimo del leggendario Django Reinhardt. Uno che lo guardi in un video live su Youtube e ti viene voglia di studiare la chitarra 24 ore al giorno. Eppure chi lo ha visto dal vivo ieri sera sul palco dell’Eddie Lang Jazz Festival a Monteroduni, o almeno una buona parte, non è andato via contento.
Sui social si è scatenata la rabbia di fan ed estimatori i quali accusano il musicista di aver suonato pessimamente, ma anche di aver dato una pessima immagine di sé e di non aver avuto alcun rispetto per il pubblico. Presentandosi sul palco in evidente stato di “alterazione” e continuando a chiedere vino per tutta la durata della performance. C’è chi ha diffuso persino dei video nei quali, effettivamente, l’artista sembra in difficoltà sia sul piano ritmico sia su quello melodico.
Non deve essere stato un concerto semplice per gli altri componenti del trio, Joel Locher al contrabbasso e Raphael Pannier alla batteria, alle prese con una situazione che il pubblico deluso ha definito imbarazzante.
Ci va giù duro il chitarrista jazz campano Paolo Palopoli, uno che ha studiato con musicisti del calibro di Barry Harris, Peter Bernstain, Kurt Rosenwinkel e Frank Gambale: “Il declino di un mito. Stamattina speravo fosse stato un incubo. Speravo di non essere mai stato al concerto di uno dei più grandi chitarristi viventi. Era la quarta volta che lo ascoltavo, ho fatto anche delle masterclass con lui anni fa, una persona cortese, disponibile, pieno di ironia, non ne ha mai sbagliata una, sempre al top. Ieri è salito sul palco completamente ubriaco, e ci ha propinato uno spettacolo indecoroso, non solo musicalmente, ma soprattutto umanamente. Sono profondamente addolorato, mi ha preso lo stomaco. Nel viaggio di ritorno da Monteroduni a Napoli ho ascoltato i suoi dischi migliori per ricordarmelo così come lo conoscevo. Bireli Lagrene, spero ti riprenderai e tornerai ad essere il top player che sei sempre stato”.
“Già da qualche annetto stava scadendo”, aggiunge un commentatore. “Ma eri ubriaco ieri sera?”, aggiunge un altro. “Peccato per chi ha pagato il biglietto – nota Gianmarco Novaga – dovevano essere rimborsati, non per colpa di chi ha organizzato ma per l’artista. Non ha avuto rispetto per chi ha fatto tanti chilometri per vederlo e per chi non vedeva l’ora di ascoltarlo dal vivo. Peccato”. Amaro anche il commento del pianista jazz campano Sergio Forlani: “Mi dispiace. Cose del genere purtroppo contribuiscono ancor più al confinamento del jazz in una nicchia e a dissuadere chi organizza ad ingaggiare suoi miti ed ex miti. Mi pare di rivivere la storia di Jaco dal 1984 alla scomparsa nel 1987”. “Senza parole – è il commento di Fabio Velletri – mai visto uno spettacolo del genere, imbarazzo totale”.
“Brutta serata – aggiunge David Cafaro – Una performance deludente, per non dire ridicola, di Bireli Lagrene evidentemente in preda ai fumi di un dopocena per niente lucido e nonostante questo, continuando a chiedere vino, ha rovinato tutto il pregevole lavoro fatto dall’organizzazione. Dopo una mezz’ora di una performance, ripeto, ridicola e deludente, quando l’ho visto alzarsi per provare a riprendersi lasciando al batterista l’onere di un assolo di intrattenimento, non ce l’ho fatta più e me ne sono andato. Ero tentato di chiedere il rimborso dei biglietti ma poi ho riflettuto che l’organizzazione stessa, oltre che il pubblico, è stata vittima della mancanza di rispetto da parte di Bireli Lagrene”.
Ma Lagrene non è certo il primo musicista jazz “chiacchierato” per le cattive abitudini. I più grandi della storia di questo genere musicale, da Charlie Parker a Jaco Pastorius, da Chet Baker a Miles Davis, facevano largo uso di alcol e droghe. Uno stile di vita decisamente in contrasto con l’esigenza di lucidità e di “rapidità di calcolo” che l’improvvisazione jazz richiede.