Ecco i primi verbali. Il tesoriere di Zagaria rompe il silenzio: si è pentito Nicola Inquieto

Il primo incontro con il padrino a San Silvestro, poi i bunker, gli spostamenti e i summit: le prime rivelazioni di Nicola Inquieto

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Nicola Inquieto

CASAPESENNA – Non è stato un semplice ‘manovale’ del clan: Nicola Inquieto è andato ben oltre. Dopo essersi fatto le ossa come autista di Michele Zagaria Capastorta – durante la latitanza del boss, accompagnandolo da un bunker all’altro – nel giro di pochi anni era diventato uno dei suoi uomini di fiducia. Facendo cosa? Gestendo una parte dell’impero economico costruito dalla fazione di Casapesenna. Un ruolo chiave, silenzioso ma decisivo.

Il profilo e la scelta

Inquieto custodiva e faceva fruttare una quota consistente della ricchezza accumulata dal gruppo mafioso di Casapesenna: investimenti all’estero, soprattutto in Romania, con rientri di denaro in Italia quando serviva per rimpinguare le casse di Capastorta e dei suoi sodali.
Insomma, fino all’ottobre 2018 – quando fu arrestato a Pitesti dalla Dia – aveva rappresentato un ingranaggio essenziale del sistema Zagaria. E ora, da collaboratore di giustizia, potrebbe diventare un tassello ancora più importante: contribuire alla demolizione di quel meccanismo che per anni ha aiutato a sostenere.

Inquieto, infatti, ha deciso di rompere il patto di omertà che lo legava alla cosca e ha iniziato a fornire informazioni all’Antimafia. Una scelta che apre nuovi scenari investigativi e che, nei prossimi mesi, potrebbe rivelarsi determinante per ricostruire la rete economica – ramificata, occulta, protetta da prestanome e imprenditori insospettabili – attraverso la quale la fazione Zagaria ha accumulato e nascosto capitali per anni.

Una collaborazione di cui, per ora, si conosce solo una minima parte, ma che potrebbe rivelarsi potenzialmente esplosiva. Il racconto di Inquieto, infatti, dovrebbe essere in grado – ammesso che sia genuino, completo e privo di zone d’ombra – di aiutare gli inquirenti a ricostruire l’enorme patrimonio della fazione, denaro che negli anni sarebbe stato affidato a uomini d’affari, professionisti e prestanome.
Potrebbe essere l’occasione che magistrati e investigatori attendono da tempo per fornire finalmente un supporto solido e verificabile a quelle che ritengono essere le connessioni vitali tra clan, politica e mondo economico: relazioni sottili, mimetizzate, quasi invisibili, che senza un contributo interno alla struttura di potere sarebbero pressoché impossibili da far emergere.

I verbali

La notizia dell’avvio della collaborazione è emersa ieri in Corte d’appello, durante l’udienza del processo Jambo, processo nato dall’inchiesta che – secondo la Direzione distrettuale antimafia partenopea – aveva svelato i tentacoli che proprio Zagaria aveva esteso sul centro commerciale e sull’amministrazione comunale di Trentola Ducenta. In aula, il sostituto procuratore generale ha depositato i primi verbali resi da Inquieto.

L’ultimo dell’anno

Davanti ai magistrati Maurizio Giordano e Andrea Macuso, il nuovo collaboratore – lo scorso novembre – ha ricostruito il suo primo incontro con il boss: la sera del 31 dicembre 1999, a casa del fratello Vincenzo Inquieto, lo stesso che negli ultimi anni di latitanza ospiterà Zagaria fino al blitz del dicembre 2011 in via Mascagni (quando Capastorta – in fuga da 16 anni – venne arrestato dalla polizia).
Nicola Inquieto ha raccontato di essere stato chiamato per portare una stecca di sigarette e, una volta giunto nell’abitazione che Vincenzo aveva in affitto a Villa di Briano, trovò lì Zagaria in compagnia di Antonio Iovine, Augusto De Luca, i fratelli Giacomo e Maurizio Capoluongo e Massimiliano Caterino. Una festa di Capodanno con il gotha del clan.

Il bunker

Da lì iniziò tutto. Qualche mese dopo, ha spiegato, Zagaria – già latitante – iniziò a convocarlo per accompagnarlo nei suoi spostamenti. All’inizio del 2000, Inquieto lavorò nell’impresa edile impegnata nella costruzione della casa di via Po, a San Cipriano d’Aversa, dove venne realizzato uno dei bunker usati dal boss. Il neo pentito – ha aggiunto – lavorò anche con Francesco Nobis, detto Ciccio ’o nir, già condannato per favoreggiamento proprio in relazione alla costruzione di un covo usato dal boss.

Realizzato il bunker a San Cipriano, Inquieto avrebbe più volte trasferito il boss da quel nascondiglio alla casa di Giacomo Capoluongo, altro storico esponente del clan dei Casalesi. Alcuni di questi spostamenti, ha riferito, servivano per consentire a Zagaria di incontrare “Sandruccio”, identificato in Alessandro Falco, patron della Cis Meridionale, la società che prima della confisca controllava il centro commerciale Jambo. Falco è tra gli imputati del processo dove ieri è stato annunciato il via alla collaborazione di Inquieto.

La busta

Il collaboratore ha poi ricordato ai pm un episodio emblematico: andò dai Capoluongo a recuperare una busta dimenticata da Zagaria.
“La busta con i soldi di Sandruccio”, gli avrebbe detto il boss. Un dettaglio che, nelle valutazioni dell’Antimafia, confermerebbe che Falco versava denaro direttamente a Capastorta e che dunque lo collocherebbe ulteriormente nel perimetro degli imprenditori ritenuti vicini al boss.

Quella frequenza di rapporti tra Zagaria e Falco portò Inquieto a chiedere se fosse possibile ottenere qualche assunzione al Jambo per alcuni suoi congiunti. E – ha riferito il collaboratore – Michele Zagaria e il fratello Antonio gli assicurarono che “non c’erano problemi”. Le assunzioni chieste, però, non si concretizzarono: i nominativi sponsorizzati da Inquieto furono poi collocati – sempre su indicazione del clan – , stando al suo racconto, in altre attività commerciali vicine alla cosca.

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Il processo Jambo ‘teatro’ della nuova collaborazione

Un’indagine densa, complessa, che ha innescato processi altrettanto intricati e costellati di colpi di scena. Parliamo, naturalmente, del procedimento Jambo. Il filone dibattimentale – quello riservato agli imputati che ormai quasi nove anni fa scelsero il rito ordinario – era già stato teatro delle prime testimonianze in videocollegamento di Nicola Schiavone – primogenito del capoclan Francesco Sandokan – collaboratore di giustizia dal 2018. E ieri, nella tappa in Corte d’appello a Napoli, ha ospitato un altro passaggio destinato a pesare nella storia della lotta al clan dei Casalesi: la prima ‘comparsa’ da pentito (seppur per ora solo in forma documentale) di Nicola Inquieto. Un ulteriore colpo di scena.

A sostenere il secondo grado del processo Jambo che ha fatto da cornice al nuovo pentimento c’è Alessandro Falco (nella foto), ex patron del centro commerciale, già condannato per associazione mafiosa. L’uomo d’affari, secondo l’accusa, sarebbe stato al servizio di Michele Zagaria e si sarebbe intestato fittiziamente le quote della Cis Meridionale – quando la società fu trasformata in Srl – che controllava il centro commerciale Jambo (oggi gestito da un amministratore giudiziario). Quote che, a detta della Dda, erano di fatto riconducibili (almeno in parte) al boss di Casapesenna, deciso a investire nella struttura il proprio denaro. E, grazie a un sistema di sovrafatturazioni messo in piedi dal centro commerciale, avrebbe anche accumulato un cospicuo tesoretto.

A giudizio c’è anche Michele Griffo, ex sindaco di Trentola Ducenta. A differenza di Falco, Griffo è stato assolto in primo grado dalla pesante accusa di associazione mafiosa: il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, al termine di un lungo dibattimento, ha ritenuto che non fosse possibile attribuirgli il ruolo di sindaco colluso con il clan, alla luce della genericità delle dichiarazioni dei collaboratori e della smentita documentale delle loro affermazioni.

Secondo i giudici, Griffo – difeso dall’avvocato Carlo De Stavola – avrebbe subìto l’imposizione del clan, senza però che emergessero atti idonei a dimostrare un suo contributo alla cosca. Se oggi è imputato in Appello è perché contro quella assoluzione il pm Maurizio Giordano ha proposto ricorso: ora sarà la Corte partenopea a valutare la tesi dell’Antimafia (alla luce anche delle dichiarazioni di Inquieto).

Sta affrontando il giudizio di secondo grado, su impugnazione della Dda, anche Ortensio Falco, fratello di Alessandro, pure lui assolto in primo grado dall’accusa di trasferimento fraudolento di beni, contestata sempre in relazione alle quote della Cis Meridionale.
Se ieri in udienza si sono fatte largo le dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia, la Procura generale ha contestualmente rinunciato a riascoltare Nicola Panaro e Generoso Restina.

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