TORINO – “Ma vi pare che se ci trovassimo in autunno con un governo Meloni a palazzo Chigi, noi potremmo permetterci di convocare le primarie del Pd per cambiare segretario?”. Così il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, in un’intervista a La Stampa concordando con quanto il suo collega Dario Franceschini ha scandito pochi giorni fa sulle colonne di questo giornale. E cioè che tutto il partito è con Letta e che il segretario del Pd non dovrebbe dimettersi anche nel caso dovesse uscire sconfitto. “Tanto più se non dovesse andare bene – dice il ministro del Lavoro, ospite a Metropolis, trasmissione web del gruppo Gedi – ci sarebbe bisogno di qualcosa di diverso che individuare un capro espiatorio: certo non un congresso per cambiare un leader. Ma questo scenario non ci sarà”. E sottolinea: “I numeri possono cambiare e di molto negli ultimi giorni. Faccio un esempio: la Lega può solo scendere, perché se uno è indeciso e alla fine decide di votare a destra, vota la Meloni. Anche molti indecisi possono propendere per il Pd all’ultimo momento. La partita è aperta. Penso che si possa trovare una maggioranza in caso di vittoria”.
“Qualsiasi campo alternativo alla destra passa per la vittoria del Pd – aggiunge Orlando rispondendo a una domanda su una eventuale coalizione allargata dai Cinque stelle al Terzo polo – . Ora la questione fondamentale è spiegare che il Pd vuole portare fino in fondo il salario minimo, migliorare le condizioni salariali, battersi per la transizione ecologica. Il voto al Pd è lo strumento più efficace per realizzare un’agenda progressista. La ricostruzione di un campo progressista passa per due condizioni: la sconfitta della destra e una forza in grado di esserne il perno, il Pd”. E ancora: “L’Art.18 così come modificato dal Jobs Act va cambiato, anche perché ce lo ha chiesto la Consulta. Non è detto che torni alla forma originaria, sicuramente, come dice la Consulta, ci deve essere un deterrente più forte contro il licenziamento”.
(LaPresse)