BRUXELLES – Accelerare sulle rinnovabili, incentivare il risparmio energetico e diversificare le fonti. Sono questi i tre pilastri su cui si fonda il RepowerEu, il megapiano per liberarsi dalla dipendenza russa annunciato oggi dalla Commissione europea. E per realizzarlo verranno messi in campo ben 300 miliardi, una cifra considerevole che in realtà proviene in gran parte (225 miliardi) dai fondi non utilizzati del Recovery Plan, che gli Stati potranno chiedere per incrementare le loro politiche e infrastrutture energetiche. A questi si aggiungono, su base volontaria, l’utilizzo di fondi di coesione (26,9 miliardi), della Politica agricola comune (7,5 miliardi) e dei proventi dalle Ets, le quote di scambio sulle emissioni (20 miliardi). Si tratta “in fondo di un capitolo aggiuntivo del Pnrr, quindi ci saranno risorse aggiuntive sia di trasferimenti che di prestiti, per poter affrontare con lo stesso meccanismo del Pnrr, quindi investimenti e riforme concordati con la Commissione, le sfide della transizione energetica”, ha spiegato il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni. Solo che l’Italia ha già chiesto tutta la sua quota di prestiti prevista dal Recovery. Ci sarà una “manifestazione di interesse” di un mese rivolta a tutti coloro che non hanno utilizzato, ossia invece di avere tempo fino al 31 agosto 2023 come da regolamento, i paesi potranno chiedere altri prestiti, in tempi rapidi, e verrà data la possibilità di andare oltre la soglia del 6,8% del prodotto interno lordo per paesi che li avessero già chiesti nel loro insieme come l’Italia. In base alle nuove richieste di prestito, quello che resta del fondo verrà redistribuito attraverso i criteri di allocazione decisi nell’estate del 2020.La grossa novità è l’avvio di un “meccanismo di acquisto congiunto” che negozierà e contrarrà gli acquisti di gas per conto degli Stati membri partecipanti. E il modello, mutatis mutandis, è preso in prestito dalla scorsa crisi che ha scosso l’Europa quando tutta l’Ue riuscì a mobilitarsi per l’acquisto dei vaccini. La nuova piattaforma energetica dell’Ue, supportata da task force regionali, consentirà acquisti comuni volontari di gas, Gnl e idrogeno mettendo in comune la domanda, ottimizzando l’uso delle infrastrutture e coordinando la sensibilizzazione dei fornitori. Tra le misure la Commissione propone di rafforzare quelle di efficienza energetica a lungo termine, compreso un aumento dal 9% al 13% dell’obiettivo previsto dal pacchetto “Fit for 55” per il 2030. Bruxelles invita anche a ridurre i consumi favorendo comportamenti individuali e delle aziende che potrebbero nel breve termine diminuire la domanda di gas e petrolio del 5% e incoraggia gli Stati membri ad avviare campagne di comunicazione specifiche rivolte alle famiglie e all’industria. Per dirla con il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, Frans Timmermans, “se riduciamo l’uso dei condizionatori in estate o non li accendiamo subito togliamo il denaro dalle tasche di Putin”. Non solo, la grossa spinta dovrebbe arrivare dalle rinnovabili: viene infatti aumentato l’obiettivo 2030 per l’energia rinnovabile dell’Ue dal 40% al 45%. E la svolta potrebbe arrivare dall’accelerazione alle procedure di autorizzazione per le rinnovabili, un problema all’attenzione anche del governo italiano. Oggi possono durare dai sei ai nove anni per l’autorizzazione di un impianto eolico, ora la Commissione vuole che si riducano a un solo anno di durata. E per farlo, tra l’altro, verranno approntante mappe di luoghi che richiedono meno valutazioni ambientali, accorciando i tempi.Nella lunga giornata di annunci della Commissione europea il fronte italiano ha chiesto più volte delucidazioni sul caso dell’annuncio di Eni di aprire un secondo conto in rubli per pagare il gas russo. Dalla Commissione sono arrivati più volte messaggi secchi e sibillini che danno adito a diverse interpretazioni. Dal vicepresidente Timmermans è stato ripetuto il mantra che pagare in rubli viola i contratti e le sanzioni, senza aggiungere riferimenti. Ma il commissario Gentiloni ha fornito un’altra versione, scandendo in italiano e poi, interrogato di nuovo, in inglese: “Molto semplicemente credo che sappiamo che la quasi totalità dei contratti delle compagnie europee sono denominati in euro o in dollari. I pagamenti delle compagnie europee avvengono secondo questi contratti, in euro e in dollari, e questo non costituisce una violazione delle sanzioni”. La matassa non sembra sciolta, ma al momento nessuno da Bruxelles ha criticato apertamente la scelta del colosso italiano. Come dire: per noi va bene così, e in ogni caso vigilare sull’applicazione delle sanzioni è qualcosa che spetta agli Stati.
Di Fabio Fantozzi